20 luglio, 2012

Una storia senza tempo...sesta parte



Per Tania si aprì un nuovo capitolo della sua vita.
Aveva due obiettivi da raggiungere : lavorare, guadagnare del denaro per riprendersi sua figlia , darle una vita dignitosa ed una giusta istruzione che le garantisse un tenore di vita migliore di quello di sua madre.
L'altro obiettivo era legato alla ricerca di notizie su Giosuè. Non poteva averla abbandonata.
Di questo si sentiva sicura.
Nella testa tanti pensieri le si accavallarono, in confusa ,buia disarmonia tra passato e futuro.
Sembravano nuvole impegnate a rincorrersi per ricoprire il cielo e nascondere il sole.
Sentì la necessità di restare sola per fare ordine mentale,per ritrovare quel raggio di luce che l'avrebbe spinta ad andare avanti, a lottare : la speranza
Salutata Gemma, cominciò ad orientarsi nella nuova casa..
La casa era vecchiotta, l'arredamento modesto ma essenziale.
La donna rifiutato , con garbo, l'aiuto di Gemma, iniziò a ripulirla.
Al piano superiore vi erano due camere da letto. Una grande ed una piccina.
Sognò, ad occhi aperti, nella stanza grande, uno spazio per lei con Giosuè e nell'altra sistemò, con la fantasia, un letto con baldacchino di pizzo e tulle, lo scrittoio, i libri, i giochi per la sua piccina
Mentre lavorava pensieri positivi cacciarono le nuvole dalla mente, restituendole forza e coraggio
ce la farò” disse a sé stessa.
Cercò subito lavoro andando per i campi
Anche stavolta sbattete la faccia contro la realtà .
Conobbe una situazione ingrata ed ingiusta nei confronti delle donne.
Sottopagate , venivano sfruttate in lavori pesanti e senza limiti di orario.
Al sorgere del sole uscivano dalle case, sulla porta salutavano il figlio o la figlia maggiore ai quali era affidata la cura e la sorte dei fratelli minori durante la giornata. Spesso portavano al lavoro, il più piccino per allattarlo, sollevando la schiena per brevi pause.
Sistematolo dentro una cesta, cercavano un riparo per il bimbo, sotto un albero ai bordi del campo.
Spesso , le più graziose,erano oggetto di attenzioni morbose da parte del padrone; le più difficili da gestire, perchè , la paura di perdere il lavoro era il ricatto palesemente ostentato.
Tania riconobbe che, seppur nella povertà, la vecchia l'aveva tenuta al riparo dai prezzi che il povero paga, per essere tale.
Infagottata in grezzi abiti, seminascosto il viso dentro un fazzolettone della sua “vecchietta” trovò lavoro in un campo piantato a carciofi.
Doveva raccogliere i carciofi dal mucchio ove venivano svuotate le ceste.
Contarli a coppie e sistemarli in ceste in quantità di quaranta coppie.
Gli uomini, con un cestone fissato con delle cinghie alle loro spalle, percorrevano ciascuno un lungo solco della carciofaia, con un coltellino tagliavano, alla base del tronco ,il carciofo e con abilità lo lanciavano dietro le spalle, sistemandolo nella cesta. Riempita la cesta la svuotavano in mucchio accanto alle donne che procedevano con la conta.
Il tutto avveniva al freddo e senza protezione per le mani , graffiate e incallite dal lavoro duro e spinoso..
Questo fu il primo lavoro di Tania.
Gli altri, quando li trovava, non furono migliori.
Raccogliere patate con la schiena china e gli occhi delle spie del padrone addosso.
La mietitura del grano sotto il solleone, la raccolta delle olive, la vendemmia..........
La giovane lavorava e si sentiva fortunata quando trovava lavoro.
Vi erano anche i giorni vuoti ma, anche il lavoro non pagato.
l'annata è andata male, non si è guadagnato dal raccolto, la merce si è deteriorata invenduta al mercato”
Tutte giustificazioni che lasciavano il povero nella sua povertà
Affrontare la quotidianità fu, per la giovane, il nuovo sussidiario d'apprendimento.
Imparò presto a difendersi dalle false amicizie. Discreta, riservata aveva una parola gentile per tutti ma non oltrepassò mai il limite della correttezza e non permise che altri lo oltrepassassero
Non si pentì di aver “lasciata in custodia” sua figlia Enne dalle suore, quando scoprì con quale disprezzo venivano trattate le “mamme” senza marito.
Donne alla berlina della bestialità dell'uomo e della cattiveria e ignoranza delle donne sposate
Erano segnate a dito e i loro figlioli chiamati “bastardi” vivevano oltre i margini della già marginante povertà.
Rifiutò richieste di matrimonio e ,onde evitare chiacchiere sulla sua vita solitaria, trascorreva il tempo libero dedicandosi alla chiesa ed alle opere di carità.
Non ritornò mai più al convento. Aiutava Gemma e le “dame della carità” a preparare gli abitini e le offerte per i bimbi custoditi dalle suore ma, non volle mai fare le consegne onde evitare il rischio di incontrare sua figlia, fino a quando non avrebbe avuto la possibilità di allontanarsi da quel luogo.
Sentire chiamare sua figlia “bastarda” non lo avrebbe resistito.

Raccolto dopo raccolto trascorsero le stagioni e gli anni.
Tania nascondeva quel che guadagnava ma, era sempre troppo poco per il suo desiderio.
Dopo dieci anni il parroco monsignore Piga morì.
La donna perdeva con lui ,un valido supporto ma anche la casa.
Dopo le esequie la giovane fu invitata dal notaio a presenziare all'apertura e lettura del testamento.
Il suo benefattore le lasciò in proprietà la casa.
Tania pianse di gioia. Aveva una casa sua.
Decise di presentarsi dalle suore, raccontarle la sua storia e chiedere sua figlia in affidamento,
Ella desiderava che la gente non sapesse che erano realmente mamma e figlia.
Tutti la rispettavano ed essendo una donna caritatevole attiva nella chiesa, la gente avrebbe accettato l'azione dell'affidamento.
Apettò ancora qualche giorno per farsi coraggio ed assemblare le parole giuste.
Indossato un vestito dignitoso, prese in affitto un calesse e si recò al convento.

                      







3 commenti:

Fata Confetto ha detto...

Lettura con emozioni che creano attesa e partecipazione: sei andata a scuola da Diderot?. Saluti cari, ti aspetto qualche volta da Fata C

Lucia ha detto...

Bellissimo blog! Tornerò a leggerti con calma. Le cose belle si devono assaporare lentamente :-)

bianco su nero ha detto...

grazie...
maria antonietta.