Tra i tanti campioni del tempo ho scelto lui...perchè i miei diari, dalle medie alle superiori erano zeppe di sue foto, ai tempi c'insifattuava della correttezza, dell'impegno, della personalità schiva di compromessi...
IL PIÙ FORTE
E
non c'erano regole da rispettare né finzioni da
tutelare,
spiattellava crudele che quello non lo voleva
vedere
e la Juve ne faceva a meno. Bisognava che
capissero
che era il più forte, anche Boniperti anche
Charles,
bisognava che gli facessero una statua in
Piazza
San Carlo. Il
Divo Sivori si concedeva tutto.
Finita
la partita andava dove voleva lui. Si allenava
quando
voleva lui, mangiava quel che voleva lui, finiva
di
giocare a carte quando voleva lui, «Non
lo vedi che
ho
da fare?»,
diceva al povero
cronista venuto
per
un'intervista.
Le
interviste le concedeva quando si era alzato bene, e
quando
i monarchi si alzano bene al mattino? Tre
scudetti,
tre Coppe Italia ('59,'60, e'65), 215 partite e
135
gol, nove volte azzurro d'Italia: così il ruolino di
Omar
Enrique, indomabile asso della Juventus. La
sua
specialità
era il tunnel ma anche il gol sardonico. Il
gol
prendingiro, il gol menefreghista, il gol cinico. Più
di
una volta, scartati il terzino e il trafelato portiere,
aspettava
che rinvenissero prima di appioppare al
pallone
il colpetto decisivo. I suoi tocchi al volo, le sue
mezze
rovesciate, le sue carognesche finte non sono
state
più dimenticate da chi l'ha conosciuto. Faceva il
fallo
per primo sul terzino, lo intimoriva lui il killer di
turno. A
stinchi nudi,
guardandolo coi suoi occhi pieni
di
sconfinata protervia, dove abitava il suo vero
coraggio,
coraggio della disperazione, coraggio della
Sivori
è nato a San Nicolas, un paesotto a 200 km da Buenos Aires, il 2
ottobre 1935. Era stato
ingaggiato,
su segnalazione di Renato
Cesarini,
dal River Plate nel 1952, che lo aveva prelevato nella
squadra
del Teatro Municipal. Arrivava da noi decantato componente del trio
degli «Angeli
dalla
faccia
sporca»,
lui, Maschio e Angelillo avevano
fatto faville nella «selecion» biancoceleste vincendo
il
campionato sudamericano.
Doveva
arrivare lui per capire che ancora non sapevamo niente nessuno, in
quanto a calcio giocato
con
perfidissima grandezza e in quanto al resto, l'inquietudine
selvaggia dell'uomo, il suo sfidare il
mondo
a stinchi nudi dribblando i virulenti difensori e perfino
irridendoli con un giochino nuovo: il
tunnel. Era
l'estate 1957.
Veniva a costare alla Juventus (che aveva da qualche mese il più
giovane
presidente
d'Italia, Umberto
Agnelli)
la bellezza, in quei giorni non ancora esplosi nel decantato
boom
economico del Paese, di dieci milioni di pesetas versati nelle casse
del River Plate che
adoperava
la cifra per rinnovare lo stadio.
Nella
cronaca di Carlo Bergoglio detto Carlin, re giornalistico d'epoca,
sull'avvenimento del primo
match
giocato allo stadio di Torino in un pomeriggio di pioggia da Enrique
Omar Sivori,
si colgono
perplessità
nella prosa del maestro, perché l'argentino rallentò molto il
gioco, esprimendo soltanto a
momenti
la superiore perfidia del suo piede sinistro.
LO SCUDETTO
DEL 1958
La
formazione bianconera vincitrice subito del campionato con Sivori e
Charles - campionato 1957-58
-
dev'essere ricordata con una sorta di trepidazione: Mattrel,
Corradi e Garzena, Emoli, Ferrario,
Colombo,
Nicole, Boniperti, Charles, Sivori, Stacchini.
La
Juventus stracciò tutti in quel campionato a 18, anche la
Fiorentina (a otto punti) e il Padova di
Rocco
(a nove). Va detto, senza tema di smentite, che la squadra riuscì a
far combaciare le sue
disuguaglianze,
assorbendo giocatori non proprio eleganti come Garzena, Emoli e
Colombo in una
trama
di gioco che verticalizzava su John Charles il gallese e assumeva la
parte del drammatico
risolutore
appunto in Sivori.
Corradi
era terzino elegante e strategico quanto Garzena era pressapochista
e fumoso, Emoli e
Colombo
sgobbavano, Boniperti col 7 di schiena ed il sorriso sulle labbra
giocava da regista sul
podio,
legnando all'occorrenza e mai sciupando un pallone. Lo stopper
Ferrario mulinava piedoni
zeppi
di ferraglia in modo più che altro drastico. Non fece mai male a
nessuno ma faceva paura a
vederlo.
E tra i pali quel miracoloso ragazzo di nome Carletto Mattrel,
portiere anomalo, qualcosa gli
impediva
di staccarsi nel colpo di reni, era tutto piazzamento e abilità
nelle uscite. Non aveva tanta
forza
fisica. Però quel campionato fu meravigliosamente suo: 33 partite,
quanti gli anni del Signore.
E
che giornate memorabili... Lui, il portiere dal viso di bambino con
fossette e dai riccioli spensierati, il
gallese
amante della birra preso perennemente in giro da Sivori e
Sivori, per la regia di Boniperti,
fabbricarono
quel decimo scudetto.
I «DUE»
SIVORI
Sivori
si presentò al mondo della
pedata
italica e in quattro battute lo
ebbe
ai suoi piedi. Intanto dedicava
le
sue dichiarazioni sarcastiche a chi
volesse
capire e poi giocava
da
capo
apache,
da impavido
approfittatore
delle debolezze altrui,
da
diavolo giocava a stinchi nudi,
per
dimostrare che non c'era mai
stato
un'altro come lui. Sivori
avrebbe
fatto ritornare
dall'Argentina
il suo amicone con
borse,
borsette - sotto gli occhi -
Renato
Cesarini detto «Ce».
La
classe di Enrique Omar Sivori
culminava
nel piede sinistro ma si
esercitava
nella pedinazione
dell'av-
versario da infilare nel
suo
diabolico giochino.
Quel
testone arruffato da neri
capelli,
quei due occhi scuri ora torvi
ora
dolci, quella sua voce strascicata
e
come satura di antiche predizioni
che
menava per il bavero a destra e
a
sinistra, chi l'ha dimenticata nella
Juve?
Sapeva essere un impareggiabile compagnone ma subito dopo un
imperdonabile
rompiscatole.
Era civile ma un istante dopo selvaggio.
Era
amabile, perfino soave e venti secondi dopo perfino brutale. Era
sangue e arena, era zucchero e
cicuta,
era Sivori. Il
suo veleno era il suo sangue indio,
nei momenti di rabbia un cieco furore.
Boniperti
riuscì a tenergli testa soltanto con la pazienza e il sorriso. E
accorciò la sua carriera per
lasciare
campo libero allo straripante compare. Torino, la Juventus, l'Italia
si innamorarono follemente
di
Omar Sivori. Non che mancassero altre attrazioni. Mentre Rachele
Mussolini raccontava la vita di
suo
marito Benito, usciva la «cinquecento», prezzo nemmeno mezzo
milione, l'automobile per tutti.
Solo
l'automobile? Per tutti anche il papa dell'amore, il papa della
semplicità, il papa quieto e meno
appariscente
di tutti i tempi moderni: Giovanni XXIII. E il calcio di Sivori per
tutti, il
contrario del
calcio
del collettivo per
intenderci, calcio di angeli e diavoli radunati in un piede solo, il
sinistro, in un
testone
arruffato. Il «Cabezon» dava spettacolo. E tutto doveva piegarsi a
lui perché potesse alla
domenica
sentirsi abbastanza ispirato da dare spettacolo.
classe,
coraggio indio. Ebbe un piede solo Sivori! Il destro gli serviva per
saltare sul tram? Tutte
storie. Pochi
fuoriclasse sono stati immensi, stratosferici, ineguagliabili come
lui.
Maradona fu
più
veloce, ma Sivori era più artistico, più malandrino, più
divertente, più diavolesco...
ADDIO JUVE
Lasciò
la Juve nel 1965, per colpa di Heriberto
Herrera,
il paraguagio. Fu
soprattutto perché era
precocemente
logoro.
Heriberto era stato chiamato, anzi convocato, per ridare ordine e
disciplina
alla
Juve che in ultimo non si allenava più e sì alzava al mattino
quando si alzava Sivori. E così Napoli
conobbe
Sivori. Gli scugnizzi napoletani andarono a prelevarlo a Capodichino,
una colonna
interminabile
di cartelli e di strombettate per il monarca che veniva a regnare
ancora per la gioia
degli
innamorati del calcio. In coppia con José
Altafini,
altro tipo malandrino, ma più scherzoso.
Va
là, altre gloriose partite, 63 in tutto, condite da dodici gol. Poi
una squalifica di sei giornate, che
assommata
alle altre raggiungeva la cifra di 33, gli fece capire che era tempo
di chiudere con il calcio,
il
Re doveva abdicare...
4 commenti:
Ciao Mietta,
mi ricordo ancora l'entusiasmo e gli aggettivi iperbolici del mio caro babbo che mi "raccontava Sivori" ...e io mi arrotolavo i calzettoni per imitarlo.
Tempi andati e ricordi bellissimi e adesso? Aspettiamo che passi l'onda...
Ti abbraccio
Marilena
Ragionerò come un vecchio ma non mi importa, parli di valori che adesso non ci sono più, ora i giocatori si permettono di scioperare se il loro ingaggi si abbassano di poche centinaia di euro, l'etica è stata completamente dimenticata.
Pierre de Coubertin si vergognerebbe nel vedere a cosa sono arrivati per il dio denaro.
Un abbraccio
Ciao Mietta,
grazie per questo post, adesso sì che posso dire di sapere anche io qualcosa sul calcio vero, quello pulito di un tempo che poi è stato soppiantato da doping, corruzione e veline!
E' un pò come il ciclismo dei tempi di Coppi e Bartali, qualcosa di mitologico ormai :-)
Giocatori così adesso non ce ne sono più, purtroppo.
Che cosa triste quando l'etica viene sostituita col denaro.
Un abbraccio
Carissima Fata Confetto
Xav e mely
grazie per esser passati a trovarmi.
Questo scambio di emozioni attraverso i ricordi che sono per me e Fata "la nostra Storia" per Xav e Mely documenti di riflessione e confronto...come eravamo e come siamo ridotti
vi voglio bene...i confronti-commenti generazionali sono costruttivi per tutti...
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