Cap. sesto
sos disterrados
Allontanatesi le ultime sinuose forme
della costa, Antoni, un po’ agitato per tutta quell’acqua che si
vedeva ovunque si allontanò dalla tolda per recarsi nella
“terza classe” .
Non era solo, altri emigranti ,da tutte
le parti della Sardegna partivano con lui.
“ sos
disterrados”, seduti accanto al misero bagaglio, parlavano tra
loro; ognuno nel proprio “ sardo”.
Quei
suoni, seppur differenti esprimevano un desiderio comune : la
prospettiva di una vita rosea per loro e per le famiglia che
qualcuno portava con sè, mentre altri come Antoni, alimentavano la
speranza di richiamarla nella terra nuova, ad una vita di
soddisfazione economica e sociale. Antoni ascoltava e taceva,
alimentando nell'animo il sollievo che provava al pensiero di
sacrificarsi per regalare alla sua Rosina e a Giovanni un ponte
colorato come arcobaleno che avrebbero attraversato per raggiungerlo
in una casetta nuova. Si vedeva correre con loro nel campo tenendosi
per mano, sorridenti alla vita, all'amore....perchè ogni giorno
sarebbe stato un “buongiorno”. Avrebbe lavorato giorno e notte
per abbreviare il tempo del loro distacco. Così sognava ascoltando
gli emigranti e le loro speranze riposte in Terra straniera,
frontiera immaginaria tra uno stato di malessere e il
benessere.
Durante la navigazione fino a Genova,
gli emigranti trovarono sollievo alle pene, ai dubbi , alle paure del
“nuovo” confidandosi questi pensieri comuni.
- Partita la nave, Rosina salì, con
il piccolo Giovanni , sulla carrozza accanto le si sedette zia
Angelina, mentre, ziu Peppinu , manovrando con le redini,indicava al
cavallo la strada per casa.
La ragazza si attaccò al seno il
figlioletto e a testa china lasciò che le lacrime, fermate con tanto
coraggio, scendessero silenziosamente, lungo le sue gote.
Zia Angelina intuì, senza proferir
parola' le passò un braccio attorno alla vita . Accarezzandola in
silenzio cercò di trasmetterle la sicurezza del suo affetto materno.
Arrivati a casa, Zio Peppinu, per
consolare la ragazza, avrebbe voluto riprendere l’argomento del
viaggio della speranza, ma ad un tacito cenno della moglie stette
zitto, mentre, Rosina si ritirava con il piccolo nella sua
camera,
Al mattino il vapore arrivò a Genova e
tutti “sos disterrados” scesi dalla scaletta, si recarono per il
controllo delle carte e per fare il biglietto presso l’ufficio
della “compagnia Trasantlantica navi a vapore per le
Americhe”.
I sardi fecero gruppo a sé stante
perché sul “ bastimento per le Americhe ”salivano persone,
gruppi di famiglie complete, arrivate da tutta l’Italia,
soprattutto dal sud.
Nei loro volti il solco della povertà,
della miseria ,della fame.
Lo
sguardo della speranza si smarriva sulle scalette di quel gran
bastimento che li avrebbe allontanati forse, per sempre, da
quel pezzo di cuore lasciato sulle dure zolle che conoscevano così
bene le piante nude dei loro piedi e il brontolio dello stomaco.
Dopo trenta giorni di viaggio, dove
tutti avevano imparato a conoscere tutti , accomunati dagli stessi
problemi espressi nei vari dialetti italici, con parole ,
melanconici canti accompagnati da una chitarra, un
mandolino……………………arrivarono a Buenos Aires, la città
argentina amata dai sardi che l'avevano fondata dandole il nome della
Madonna di Bonaria , protettrice della Sardegna.
Furono fatti accomodare, dalla polizia
portuale, in cameroni dove iniziarono i controlli per la
registrazione del loro ingresso in America: documenti di identità,
controlli sanitari, informazioni varie……………
Stipati nei cameroni attendevano il
timbro del lasciapassare, senza il quale sarebbero stati rimandati
sulla nave e rispediti in Italia.
Ottenuto il timbro d’ingresso
mettevano piede sul suolo americano.
Antoni si guardò attorno, con
espressione sperduta, cercava di capire cosa fare.
Alcuni dei suoi compagni di viaggio
avevano un biglietto con delle indicazioni sul luogo dove
recarsi e mostrandolo e chiedendo, in dialetto e a gesti,come
potevano, si dirigevano verso i mezzi pubblici che li avrebbero
condotti a destinazione; altri erano attesi da parenti che dopo
averli accolti con larghi sorrisi li portavano con loro.
Antoni si avvicinò ad un gruppo di
persone dall'apparenza confuse e sperdute come lui.
Degli uomini ben vestiti si accostarono
al gruppo, parlavano un italiano misto al dialetto di origine con una
sonorità mai sentita : sicuramente parlano americano “ pensò
preoccupato Antoni perchè non solo non aveva mai sentito parlare
americano ma non sapeva né leggere,nè scrivere tranne il proprio
nome.
Un uomo con aria benestante e
disponibile, le mani nel taschino di un elegante gilet, sigaro in
bocca si avvicinò al giovane e con un sorriso accattivante:
“ ehi paisà! Sai dove andare? Cerchi
lavoro?”
“ beh, no e si !” rispose Antoni
facendosi coraggio
“ allora sei fortunato ! Hai trovato
la persona giusta...” così dicendo gli allugò una mano per
presentarsi
“ piacere ! Io sono Don Gaetano! Ho
terreni e fattorie ,da me troverai lavoro, una buona paga! “ poi,
osservando il lucicchio di speranza che brillava negli occhi di
Antoni proseguì:
“tieni famiglia?”
“si!” rispose Antoni “ moglie e
figlio che ho lasciato in Sardegna con la promessa che presto mi
raggiungeranno...!”
“ bene, bene !!” disse don Gaetano
“ li faremo arrivare presto ,se mostrerai buona volontà”
“si,si, quella non mi manca!”
rispose il giovane
“ chi lavora per me riceve la paga a
fine mese, molti la depositano nella mia banca per racimolare i soldi
per la famiglia, tanto da me si ha cibo, vestiario e un posto per
dormire gratis! Se ti va !”
“certo che mi va!” rispose il
giovane “ in banca i soldi saranno custoditi...”
“e in poco tempo potrai comprare i
biglietti per fare arrivare la tua famiglia!” concluse don Gaetano
suggellando quanto promesso con una stretta di mano.
Antoni salì sul carro indicatogli ed aspettò che don Gaetano
reclutasse altri emigrati.
Quando furono pronti il carro si mosse.
Viaggiarono alcune ore tra campi ricchi di colture e pascoli.
Don Gaetano era davvero ricco di
terreni. Ogni tanto si fermava presso una “fazenda” e affidava ad
un suo uomo di fiducia qualche emigrato.
Per ultimo scese Antoni. Quando entrò
nella “fazenda” imbruniva. Un “capo” lo accompagnò in un
grande capannone dove vi erano altri “lavoranti”, gli assegnò un
letto , un pasto e lo lasciò.
I compagni di stanza si avvicinarono per salutarlo.
Gli fecero tante domande poi gli
diedero informazioni “sul sogno americano”
“ ti accorgerai presto che,
l’America, L’Argentina non sono quello che ci hanno raccontato,
il lavoro è duro, senza orari, guarda noi!!!..
dormiamo in questo misero camerone come prigionieri, il cibo è scarso e la paga, non la vedrai prima di un anno e sarà così bassa che non riuscirai mai a racimolare i soldi per pagarti il biglietto e ritornare a condividere la miseria con la tua famiglia, nella tua amata Terra.
dormiamo in questo misero camerone come prigionieri, il cibo è scarso e la paga, non la vedrai prima di un anno e sarà così bassa che non riuscirai mai a racimolare i soldi per pagarti il biglietto e ritornare a condividere la miseria con la tua famiglia, nella tua amata Terra.
Era già passato un mese dal suo arrivo
ed ancora non aveva scritto alla moglie.
Non aveva il coraggio. Misero tra i miseri e prigioniero di un
sogno in gramaglie.
Un Italiano che sapeva leggere e
scrivere, in cambio di qualche pesos scriveva le lettere per i
parenti dei suoi connazionali.
Una sera Antoni, fattosi coraggio, gli
chiese il favore.
Cominciò a dettare :
mia cara Rosina
sono arrivato in Argentina. Il viaggio
è stato lungo e faticoso. Ho trovato lavoro in una grande fattoria,
il lavoro è pesante però mi pagano bene, ci vorrà del tempo prima
che ti possa spedire i soldi per raggiungermi, perché prima comprerò
una casetta per noi.
Spero che stiate tutti bene, il nostro
figliolo cresce bene?
Stai tranquilla! Zia Angelina e zio
Peppino sono delle brave persone, il tempo passerà in fretta anche
perché sappiamo che stiamo bene e che il sacrificio lo facciamo per
riunirci.
Il tuo Antoni che ti abbraccia.
Fu soltanto l’inizio di una serie di
menzogne scritte.
Scappato dalla “facenda” di don
Gaetano cambiò diversi lavori, nella speranza di trovare quello
buono che gli permettesse , aòmeno, di comprare il biglietto e
ritornare dai suoi amori.
Rosina viveva come una figlia vera, un
bellissimo rapporto con zia Angelina e il marito.
Si aiutavano a vicenda. Il piccolo
cresceva con i “due nonni” amato e curato
Tutte le sere Rosina, prendeva un
piccolo spazio per sè.
Lasciato il bambino tra le braccia
della “nonna” che aspettava gioiosamente quel momento, scendeva
al mare.
Camminando sulla battigia arrivava
verso gli scogli di Maragnani, vi si nascondeva e fissava il
mare, gli parlava, a lui raccontava le pene del suo cuore per
quell’amore che gli mancava.
Quando socchiudeva gli occhi al vento
che, attraversandole i capelli, liberava la sua mente da grigi
e nuvolosi pensieri, ella vedeva il suo Antoni arrivare come un
Dio, su un carro dorato, cavalcava le onde del mare, la sollevava con
le sue robuste braccia , la stringeva , la prendeva con quella
passione che non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a
nessuno.
Poi, ritornata a casa e si faceva
rileggere le lettere da zia Angelina.
Anche Rosina dettava alla donna le
lettere per il marito. poichè si vergognava a “dettare” quanto
le mancasse, gli scritti finivano con avere lo stesso indispensabile
contenuto:
la
salute, il lavoro, il bambino che cresceva.
Intanto passavano i mesi, Antoni,
cercava, sempre più avvilito,una soluzione ma, tutto era difficile:
l’integrazione, il lavoro, tanto sacrificio e la stessa miseria.
Erano trascorsi tre anni, Rosina, nelle
sue missive, cominciava a dettare domande e richieste più precise.
Con il dolore nel cuore, per il
fallimento Antoni diradò le lettere di risposta, finchè non scrisse
più
Si trasferì in Uruguay e non ricevette
più neanche le lettere di Rosina.
Rosina continuò a raccontare il suo
dolore , i suoi perché, i dubbi al mare: il mare non le dava alcuna
risposta.
Passarono sei anni, non si era mai
rassegnata ai silenzi di Antoni, pensava al peggio, eppure sentiva
che non era morto…………non riusciva a trovare una spiegazione.
La sua consolazione era suo figlio.
Frequentava la prima classe elementare
e con l’aiuto di zia Angelina, anche Rosina imparò a leggere e a
scrivere.
In questo tempo morì sua madre e i
suoi fratelli e le sue sorelle sposarono dei servi rimanendo servi
nelle “pinnette” del padrone.
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