03 ottobre, 2013

Partono i bastimenti Cap. sesto " sos disterrados"



Cap. sesto
sos disterrados

Allontanatesi le ultime sinuose forme della costa, Antoni, un po’ agitato per tutta quell’acqua che si vedeva ovunque si allontanò dalla tolda per recarsi  nella “terza classe” .
Non era solo, altri emigranti ,da tutte le parti della  Sardegna partivano con lui.
sos disterrados”, seduti accanto al misero bagaglio, parlavano tra loro; ognuno nel proprio “ sardo”.
Quei suoni, seppur differenti esprimevano un desiderio comune : la prospettiva  di una vita rosea per loro e per le famiglia che qualcuno portava con sè, mentre altri come Antoni, alimentavano la speranza di richiamarla nella terra nuova, ad una vita di soddisfazione economica e sociale. Antoni ascoltava e taceva, alimentando nell'animo il sollievo che provava al pensiero di sacrificarsi per regalare alla sua Rosina e a Giovanni un ponte colorato come arcobaleno che avrebbero attraversato per raggiungerlo in una casetta nuova. Si vedeva correre con loro nel campo tenendosi per mano, sorridenti alla vita, all'amore....perchè ogni giorno sarebbe stato un “buongiorno”. Avrebbe lavorato giorno e notte per abbreviare il tempo del loro distacco. Così sognava ascoltando gli emigranti e le loro speranze riposte in Terra straniera, frontiera immaginaria  tra uno stato di malessere e il benessere.
Durante la navigazione fino a Genova, gli emigranti trovarono sollievo alle pene, ai dubbi , alle paure del “nuovo” confidandosi questi pensieri comuni.
- Partita la nave, Rosina salì, con il piccolo Giovanni , sulla carrozza accanto le si sedette zia Angelina, mentre, ziu Peppinu , manovrando con le redini,indicava al cavallo la strada per casa.
La ragazza  si attaccò al seno il figlioletto e a testa china lasciò che le lacrime, fermate con tanto coraggio, scendessero silenziosamente, lungo le sue gote.
Zia Angelina intuì, senza proferir parola' le passò un braccio attorno alla vita . Accarezzandola in silenzio cercò di trasmetterle la sicurezza del suo affetto materno.
Arrivati a casa, Zio Peppinu, per consolare la ragazza, avrebbe voluto riprendere l’argomento del viaggio della speranza, ma ad un tacito cenno della moglie stette zitto, mentre, Rosina si ritirava con il  piccolo nella sua camera,

Al mattino il vapore arrivò a Genova e tutti “sos disterrados” scesi dalla scaletta, si recarono per il controllo delle carte e per fare il biglietto presso l’ufficio della “compagnia Trasantlantica navi a  vapore per le Americhe”.
I sardi fecero gruppo a sé stante perché sul “ bastimento per le Americhe ”salivano persone, gruppi di famiglie complete, arrivate da tutta l’Italia, soprattutto dal sud.
Nei loro volti il solco della povertà, della miseria ,della fame.
 Lo sguardo della speranza si smarriva sulle scalette di quel gran bastimento che li avrebbe allontanati  forse, per sempre, da quel pezzo di cuore lasciato sulle dure zolle che conoscevano così bene le piante nude dei loro piedi e il brontolio dello stomaco.
Dopo trenta giorni di viaggio, dove tutti avevano imparato a conoscere tutti , accomunati dagli stessi problemi espressi nei vari dialetti italici, con parole , melanconici canti accompagnati da una chitarra, un mandolino……………………arrivarono a Buenos Aires, la città argentina amata dai sardi che l'avevano fondata dandole il nome della Madonna di Bonaria , protettrice della Sardegna.
Furono fatti accomodare, dalla polizia portuale, in  cameroni dove iniziarono i controlli per la registrazione del loro ingresso in America: documenti di identità, controlli sanitari, informazioni varie……………
Stipati nei cameroni attendevano il timbro del lasciapassare, senza il quale sarebbero stati rimandati sulla nave e rispediti in Italia.
Ottenuto il timbro d’ingresso mettevano piede sul suolo americano.
Antoni si guardò attorno, con espressione sperduta, cercava di capire cosa fare.
Alcuni dei suoi compagni di viaggio avevano  un biglietto con delle indicazioni sul luogo dove recarsi e mostrandolo e chiedendo, in dialetto e a gesti,come potevano, si dirigevano verso i mezzi pubblici che li avrebbero condotti a destinazione; altri erano attesi da parenti che dopo averli accolti con larghi sorrisi li portavano con loro.
Antoni si avvicinò ad un gruppo di persone dall'apparenza confuse e sperdute come lui.
Degli uomini ben vestiti si accostarono al gruppo, parlavano un italiano misto al dialetto di origine con una sonorità mai sentita : sicuramente parlano americano “ pensò preoccupato Antoni perchè non solo non aveva mai sentito parlare americano ma non sapeva né leggere,nè scrivere tranne il proprio nome.
Un uomo con aria benestante e disponibile, le mani nel taschino di un elegante gilet, sigaro in bocca si avvicinò al giovane e con un sorriso accattivante:
“ ehi paisà! Sai dove andare? Cerchi lavoro?”
“ beh, no e si !” rispose Antoni facendosi coraggio
“ allora sei fortunato ! Hai trovato la persona giusta...” così dicendo gli allugò una mano per presentarsi
“ piacere ! Io sono Don Gaetano! Ho terreni e fattorie ,da me troverai lavoro, una buona paga! “ poi, osservando il lucicchio di speranza che brillava negli occhi di Antoni proseguì:
“tieni famiglia?”
“si!” rispose Antoni “ moglie e figlio che ho lasciato in Sardegna con la promessa che presto mi raggiungeranno...!”
“ bene, bene !!” disse don Gaetano “ li faremo arrivare presto ,se mostrerai buona volontà”
“si,si, quella non mi manca!” rispose il giovane
“ chi lavora per me riceve la paga a fine mese, molti la depositano nella mia banca per racimolare i soldi per la famiglia, tanto da me si ha cibo, vestiario e un posto per dormire gratis! Se ti va !”
“certo che mi va!” rispose il giovane “ in banca i soldi saranno custoditi...”
“e in poco tempo potrai comprare i biglietti per fare arrivare la tua famiglia!” concluse don Gaetano suggellando quanto promesso con una stretta di mano.
Antoni salì sul carro indicatogli ed aspettò che don Gaetano reclutasse altri emigrati.
Quando furono pronti il carro si mosse. Viaggiarono alcune ore tra campi ricchi di colture e pascoli.
Don Gaetano era davvero ricco di terreni. Ogni tanto si fermava presso una “fazenda” e affidava ad un suo uomo di fiducia qualche emigrato.
Per ultimo scese Antoni. Quando entrò nella “fazenda” imbruniva. Un “capo” lo accompagnò in un grande capannone dove vi erano altri “lavoranti”, gli assegnò un letto , un pasto e lo lasciò.
I compagni di stanza si avvicinarono per salutarlo.
Gli fecero tante domande poi gli diedero informazioni “sul sogno americano”
“ ti accorgerai presto che, l’America, L’Argentina non sono quello che ci hanno raccontato, il lavoro è duro, senza orari, guarda noi!!!..
dormiamo in questo misero camerone come prigionieri, il cibo è scarso e la paga, non la vedrai prima di un anno e sarà così bassa che non riuscirai mai a racimolare i soldi per pagarti il biglietto e ritornare a condividere la miseria con la tua famiglia, nella tua amata Terra.
Era già passato un mese dal suo arrivo ed ancora non aveva scritto alla moglie.
Non aveva il coraggio. Misero tra i miseri e prigioniero di un sogno in gramaglie.
Un Italiano che sapeva leggere e scrivere, in cambio di qualche pesos scriveva le lettere per i parenti dei suoi connazionali.
Una sera Antoni, fattosi coraggio, gli chiese il favore.
Cominciò a dettare :
mia cara Rosina
sono arrivato in Argentina. Il viaggio è stato lungo e faticoso. Ho trovato lavoro in una grande fattoria, il lavoro è pesante però mi pagano bene, ci vorrà del tempo prima che ti possa spedire i soldi per raggiungermi, perché prima comprerò una casetta per noi.
Spero che stiate tutti bene, il nostro figliolo cresce bene?
Stai tranquilla! Zia Angelina e zio Peppino sono delle brave persone, il tempo passerà in fretta anche perché sappiamo che stiamo bene e che il sacrificio lo facciamo per riunirci.
Il tuo Antoni che ti abbraccia.
Fu soltanto l’inizio di una serie di menzogne scritte.
Scappato dalla “facenda” di don Gaetano cambiò diversi lavori, nella speranza di trovare quello buono che gli permettesse , aòmeno, di comprare il biglietto e ritornare dai suoi amori.

Rosina viveva come una figlia vera, un bellissimo rapporto con zia Angelina e il marito.
Si aiutavano a vicenda. Il piccolo cresceva con i “due nonni” amato e curato
Tutte le sere Rosina, prendeva un piccolo spazio per sè.
Lasciato il bambino tra le braccia della “nonna” che aspettava gioiosamente quel momento, scendeva al mare.
Camminando sulla battigia arrivava verso gli scogli di Maragnani,  vi si nascondeva e fissava il mare, gli parlava, a lui raccontava le pene del suo cuore per quell’amore che gli mancava.
Quando socchiudeva gli occhi al vento che, attraversandole i capelli, liberava la sua mente da grigi  e nuvolosi  pensieri, ella vedeva il suo Antoni arrivare come un Dio, su un carro dorato, cavalcava le onde del mare, la sollevava con le sue robuste braccia , la stringeva , la prendeva con quella passione che non avrebbe mai avuto il coraggio di confessare a nessuno.
Poi, ritornata a casa e si faceva rileggere le lettere da zia Angelina.
Anche Rosina dettava alla donna le lettere per il marito. poichè si vergognava a “dettare” quanto le mancasse, gli scritti finivano con avere lo stesso indispensabile contenuto:
 la salute, il lavoro, il bambino che cresceva.
Intanto passavano i mesi, Antoni, cercava, sempre più avvilito,una soluzione ma, tutto era difficile: l’integrazione, il lavoro, tanto sacrificio e la stessa miseria.
Erano trascorsi tre anni, Rosina, nelle sue missive, cominciava a dettare domande e richieste più precise.
Con il dolore nel cuore, per il fallimento Antoni diradò le lettere di risposta, finchè non scrisse più
Si trasferì in Uruguay e non ricevette più neanche le lettere di Rosina.
Rosina continuò a raccontare il suo dolore , i suoi perché, i dubbi al mare: il mare non le dava alcuna risposta.
Passarono sei anni, non si era mai rassegnata ai silenzi di Antoni, pensava al peggio, eppure sentiva che non era morto…………non riusciva a trovare una spiegazione.
La sua consolazione era suo figlio.

Frequentava la prima classe elementare e con l’aiuto di zia Angelina, anche Rosina imparò a leggere e a scrivere.
In questo tempo morì sua madre e i suoi fratelli e le sue sorelle sposarono dei servi rimanendo servi nelle “pinnette” del padrone.





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