12 giugno, 2011

racconto.......il gattone....

     

Elena rientrava a casa dal lavoro.
Insegnava alla scuola materna. Amava molto il suo lavoro, però il turno del pomeriggio la massacrava.
Guidava la macchina senza veder la strada. a sua mente si rilassava canticchiando la canzoncina con la quale aveva intrattenuto i piccoli alunni, nel gioco che precedeva  il momento della merenda.
La sua mente ripeteva il ritornello:

"il gattone della nonna sulla sedia accoccolato
quieto, quieto fa il sornione sembra proprio addormentato
ma le orecchie drizza il gatto ha veduto un topolino
“fuggi, figgi topolino che il gattone si è svegliato!"

Elena sorrise al ricordo del parapiglia di bimbi-topolino che scappavano inseguiti dal bimbo-gattone, al sentir l’ultimo versetto.
Finalmente il cancello di casa.
Lo aprì azionando l’automatico, diresse la macchina in garage e prese a salire le scale.
Trascinando stancamente il borsone scolastico, contenente la sua scienza ed anche la fantascienza pensava: sorridendo di sé stessa
“ è ancora presto!” anche l’orologio al polso glielo confermava
Erano le diciassette di uno splendido pomeriggio di metà giugno.
La donna aprì il portone, poggiò sulla sedia il borsone, prese dal frigo una bottiglia di the, un bicchiere e pensò di ndare a riposare, le stanche membra nel suo giardino , sulla comoda poltrona con ombrellone  e tavolino , tutto in un unico blocco , comprato ad un prezzo scontato.
Aperta la porta che, dall’appartamento immetteva nel giardino, si bloccò : un gattone enorme, una massa arancio- rosso tramonto, con pochi balzi raggiunse il cancello e lo scavalcò tempestivamente.
La donna poggiò ciò che teneva in mano e si avvicinò all’aiuola accanto al muro.
Quella dove aveva visto il gatto e dove crescevano, rigogliosi di frutti, una coppia di alberi di kiwi.
Le piante  presentavavano,sulla corteccia , profonde e lunghe ferite da artigli grossi, forti, demoniaci.
La donna preoccupata dalla visione e con la paura che il bestione affamato potesse aggredire qualcuno, chiamò al cellulare il marito per informarlo e chiedergli il da farsi.
Appresa la notizia, l’uomo, raccontò il fatto ai compagni di lavoro.
Un giovane si propose di prestargli una gabbia , abbastanza capiente che, egli stesso aveva costruita con barre di acciaio, per prendere i conigli selvatici che devastavano il suo orticello.
Usciti dal lavoro si recarono alla casa del giovane-
 Presa la gabbia, Giovanni, il marito della maestra, si recò alla sua casa.
Tranquillizzata la moglie, sistemò la gabbia.
La mise dentro l’aiuola dei kiwi, aprì le due porticine, con attenzione, vi mise dentro del cibo appetitoso
Rientrarono in casa. In ansiosa attesa.
Poco dopo un  miagolio che proveniva dal giardino.
Giovanni ,allorché vide la bestia impazzita, rinchiusa tra le sbarre della grande gabbia  rimase sorpreso e sconvolto
“non ho mai visto un simile animale!”disse , incerto sulle prossime mosse.
Presi due manici di bastone li posizionò sotto la gabbia, uno alla destra e l’altro alla sinistra, poi chiese ad una terrorizzata Elena di sollevare gli estremi dei due manici posteriori, mentre lui avrebbe sollevati gli estremi anteriori
Dovette richiamare l’attenzione della donna, congelata come merluzzo in freezer, per il terrore.
Entrarono con la “portantina” nella casa, fecero due piani di scale e ,abbassato il sedile posteriore della macchina, i due si impegnarono a sistemare la gabbia dentro, evitando i grossi ed uncinati artigli che la belva tirava fuori dalle sbarre.
Sedutisi davanti, presero una strada di montagna che, allontanandoli ,di parecchi chilometri dal paese, li avrebbe condotti in un immenso bosco, dove, a loro avviso, la bestia poteva vivere in un ambiente più adatto a lei.
Quel viaggio fu un incubo.
Elena si voltava continuamente.
Il gatto sbatteva il testone alle sbarre della gabbia cercando di liberarsi, intanto con gli occhi arrossati dall’ira lanciava miagolii infernali, il miagolio cavernoso e rauco  dalla rabbia, la bava che  colava  dalle fauci aperte che mostravano enormi ed appuntiti canini, Cercava   di prender gli occhi della donna con gli artigli che fuoriuscivano dalle sbarre.
Dopo, oltre un’ora di viaggio su per la montagna, Elena sclerata , piangente per il terrore chiese a Giovanni di fermarsi.
Dietro una curva si fermarono. Su una terrazza  di emergenza.
Da una parte una fitta boscaglia scendeva giù per il versante della montagna, dall’altra parte il bosco appariva su uno spiazzo piatto.
Giovanni disse: “ smettila di piangere! Dobbiamo essere veloci.!!
Scenderemo dalla macchina e ci ripareremo dietro gli sportelli , poi io con un bastone, aprirò la porticina della gabbia che dà all’esterno. Preghiamo Dio che, il gatto prenda la strada del bosco e non pensi di aggredirci!!!, stai allerta con l’altro bastone!”
Concluse concitatamente.
La donna assentì con la testa. Non poteva far altro: tremava e batteva i denti osservando il gattone, infuriato, impazzito che era voltato verso loro e non verso la porticina della sua e della loro salvezza.
L’uomo si fece coraggio, aiutandosi, faticosamente, con il bastone,aprì da lontano la porticina.
Con un urlo apocalittico, il gattone balzò fuori, non stette neanche a guardarsi attorno. attraversò la stradine e sparì nel bosco.
Giovanni ed Elena si sedettero in macchina  e stettero un po’ chiusi dentro.. Pallidi come lenzuola esposte al sole.
Lentamente , senza proferir parola, rientrarono a casa.
Elena non propose mai più la canzoncina del “ gattone della nonna” ai suoi alunni.

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