Muhammad Alì ovvero Cassius Clay.
La notizia della morte di Cassius Clay
mi ha turbata. Chiusa in un' incontenibile tristezza, la sua
immagine, come in tremolio d'onda, si culla tra le mie lacrime.
Non mi chiedo perchè soffro così
intensamente, non desidero chiedermelo e ancor di meno stare di
fronte alla notizia che mi provoca tanto malessere. Cerco di
distrarmi. E' inutile.
Eppure, non ho mai seguito Cassius
Clay sul ring. Non ho mai considerato il pugilato uno sport poiché
non riscontro valori educativi fondamentali: norme di convivenza e/o
appartenenza ad un gruppo ed il rispetto dell'altro. Due pugili sul
ring stanno di fronte, cercando ciascuno l'attimo giusto per colpire
l'altro, così simili a due bestie che si puntano, si osservano
intimorendosi a
vicenda prima di azzannarsi per una
preda-cibo o per ottenere una posizione rispettabile nel branco
oppure, peggio ancora, mi ricordano quelle scene drammatiche, come
nel film “Zanna Bianca”, dove i cani sono addestrati ad
attaccarsi combattendo all'ultimo sangue, con il solo scopo del
divertimento del pubblico che sfoga in quel sanguinario incontro la
propria brutale bestialità. Rileggendo le biografie di alcuni pugili
del passato mi rendo conto che hanno un denominatore comune:
provengono tutti o quasi da un contesto sociale svantaggiato, ove la
condizione di povertà di cultura ed economica li ghettizza.
Ricordo che da bambina, in fondo alla
via dove abitavo, vi erano delle casette basse, una era
particolarmente in condizione di degrado. Era la dimora di una
famiglia numerosa e molto povera. Noi, bambini della “zona alta”
giocavamo tutti insieme nei cortili ma anche sulla strada, sotto
l'occhio vigile delle mamme pronte a sgridare, consolare, pulire con
il fazzoletto i nasi che colavano. Quest'ultimo mi dava l'impressione
che fosse il vero lavoro delle nostre mamme “ vieni qui a pulire il
naso” e via con una strofinata a tutta narice.
I bambini della “zona bassa”
giocavano tra loro, liberi e chiassosi, spesso scalzi. I più
piccoli, con un solo grembiulone addosso correvano, si arrampicavano
su muretti, mostrando il sederino dello stesso colore della pianta
del piede. Non v'era alcuno che strofinasse loro il naso; una
strisciata di naso sul braccio, un percorso di muco fresco
s'incrociava con quello secco, una tirata di naso all'indietro e
vai...a giocare.
A volte io andavo alla loro casa con
Angelina, la “donna di servizio “ che aiutava mamma, solamente
per comprare, a seconda delle stagioni, le lumache di tutte le
grandezze, i funghi, oppure ogni tipo “d'erba”: finocchietti
selvatici per insaporire il minestrone, la malva per i decotti. Tutto
ciò che cresceva spontaneamente nelle campagne. Loro vivevano di
quell'introito.
A quattordici anni, il figlio maggiore
scelse la strada della boxe. Si allenava duramente e con costanza,
come a voler liberare le spalle dalla zavorra della sua condizione.
Come si sparse la voce sul suo potenziale da pugile, con un futuro
promettente, i ragazzi della zona alta lo avvicinarono.
Lo ascoltavano con attenzione. I lividi
sul suo volto alimentavano la loro fantasia. Appena i ragazzi
cambiavano argomento lui taceva , si allontanava muovendo i sassi del
selciato con dei poderosi calci o sfidava tutti ad un confronto a
pugni.
Non ho idea della fine che abbia fatto
il giovane, se sia riuscito o meno a realizzare il sogno di volare
alto o quanto sia durato il sogno.
Però ho seguito, attraverso i media,
la “brillante” carriera di Cassius Clay, apprezzando non il
pugile ma “l'uomo “ che vi era dietro;
Muhammad Ali, l'uomo nuovo, libero, un
“Io” indomito che combatteva sul ring il suo avversario più
terribile: la segregazione razziale.
Muhammad Alì che rifiutò il servizio
militare in Vietnam : i Vietcong non mi hanno fatto niente i veri
nemici sono qui.
Sono stanca. La concentrazione nel
ricercare i perchè la morte di un idolo del pugilato mi abbia
rattristata in tal modo, mi ha svuotata.
Lascio la scrivania. Dal terrazzo
osservo il tremolio delle fronde del mandorlo...e lì, trovo la
risposta.
Tra quelle fronde, nel riverbero del
sole rivedo Muhammad Alì che accende la fiaccola delle Olimpiadi
di Atlanta.
Trema come le fronde davanti a me. Non
è il vento di un primo mattino di Giugno a scuoterlo ma il
Parkinson.
Ho capito.
Non è la sua immagine che trema sulle
mie lacrime ma sono le mie
lacrime che tremano del suo e del tremore di chi malato di
Parkinson
Mietta
3 commenti:
Grazie di cuore Maria Antonietta per avere trovato il tempo di partecipare alla mia festa!
Buon inizio settimana.
Marina
Ciao! Sono arrivata al tuo blog grazie alla festa dell'amicizia e devo dire che mi piace molto, infatti mi sono aggiunta ai tuoi lettori fissi!
Lifen
GRAZIE!!!
è un meraviglioso modo per conoscersi
a presto
Mietta
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