La scuola
L'edificio è sito in una parte piana
nella parte bassa della penisola, così vicina al mare che dalle
finestre posso, ogni istante guardarlo. Lo faccio spesso e lui,
complice, mi rasserena nonostante il suo mutevole carattere.
Mai mi passò per la testa di chiedere
un trasferimento per avvicinarmi a casa.
Un rapporto bellissimo con le colleghe
e le famiglie che apprezzavano il mio metodo operativo basato sulla
sperimentazione pratico-manipolativa-ludica che facilitava
l'apprendimento delle abilità matematiche, notoriamente ostiche ai
bambini.
I miei pensieri furono interrotti da
una fitta al petto.
Adesso che ero vicina all'imponente
caseggiato stile anni cinquanta, vedevo le transenne che lo
circoscrivevano.
Presto sarebbe stato abbattutto e
sostituito con altre strutture per offrire diversi servizi ai
castellalturesi ed incrementare il turismo con una fantastica veduta
sul mare.
Il dolore al petto aumentava. Era impossibile veder un caseggiato
con ampi spazi adatti ai vari laboratori, fornita di palestra dove
generazioni erano cresciute, immolata sull'altare del consumismo
sfrenato.
La scuola “temporaneamente” fu
trasferita poco più avant
i in una struttura privata predisposta ad esser un supermercato.
i in una struttura privata predisposta ad esser un supermercato.
Con la tristezza nel cuore guardai le
“mie vecchie finestre” , grandi occhi che spaziavano sulla
bellezza della costa che dal mare risaliva verso colline profumate di
macchia mediterranea.
Arrivai nella nuova “scuola” .
All'ingresso, le bidelle avevano sistemato dei cartoni adattati a
tappetti perchè la pioggia, caduta durante la notte, aveva allagato
lo stretto corridoio. I bambini venivano traghettati, a braccia,
all'interno.
Onde evitare che genitori, già irati,
vedessero le lacrime agli occhi, entrai velocemente in” aula”.
Mancavano dieci minuti al suono della
campanella.
Desolata entrai , poggiai il borsone
su una delle due sedie vecchie e sgangherate che la maestra aveva a
disposizione e sull'altra, zoppicante, misi la giacca.
In piedi osservavo l'aula, quella che
,secondo la normativa, avrebbe dovuto essere la “struttura
dell'offerta formativa”
Pareti di cartongesso, finestre così
alte che vedevo solo pareti, simile a galera, unico sbocco verso
l'aria era la porta posizionata di fronte alle porte dei bagni.
L'aula di dimensioni ridotte, quando vi
entravano i quindici alunni sembravamo topi in trappola.
Una volta seduti erano inscatolati.
Quel che cadeva rimaneva a terra onde evitare bernoccoli e lividi.
Per operare con il materiale da manipolare mi occorreva uno spazio,
“semplice!” , tutti i giorni assemblavo i banchi, l'uno sopra
all'altro , in fondo all'aula e stese delle coperte sul pavimento
circoscrivevo uno spazio, poi ritrasloccavo.Prima con una classe e
poi con l'altra.
Asciugai le lacrime, cercai di
calmarmi. Mi sentivo soffocare dalla rabbia, dall'impotenza.
Oltre le due sedie sgangherate potevo
contare sulla sedietta di un bambino assente o poggiarmi sull'angolo
di un banco dei bambini.
Mi presero dei crampi allo stomaco , si
accellerò il battito cardiaco
“smettila !!” mi dissi “ calmati,
fai quello che puoi, accattasta i banchi e prepara lo spazio per i
giochi...dai non è da te scoraggiarti!”
Suonò la campanella. I bimbi entrarono
festosi in aula.
Mi si addossarono per salutarmi e in
una confusione di voci e gioiose risatine,tutti insieme volevano
raccontarmi l'avventura dell'entrata a scuola.
Rimisi a posto quei pochi banchi che
avevo spostati, aiutai i bambini a togliere i giubbotti bagnati e,
come Dio volle, riuscii a sistemare quindici giubbottini sui cinque
appendini a disposizione. I giubbottini si bagnavano l'un con
l'altro, piangendo in mezzo al corridoio che, in pochi minuti si
trasformò in un acquitrino.
Dopo aver insegnato in una scuola che
ti offriva almeno spazi ed un minimo di dignitoso decoro, questo era
il massimo.
Stavo male, tutta la situazione era
insostenibile. Sistemati i bambini ,ascoltai i racconti del
“traghettamento”.
Ridevano felici dell'avventura.
Finalmente sfogata “la novità” si ricordarono del borsone delle
magie.
Riuscii a riprendere il mio sorriso, nonostante un fastidioso mal
di stomaco e senso di nausea mi chiudevano la gola, mi sentivo
soffocare.
Decisi di lavorare sui banchi, non
stavo bene per affrontare il loro spostamento.
Incominciai il solito giochetto che
interesse ed attenzione curiosa suscitava nei bambini.
Aprii il borsone : “vediamo,
vediamo!.....” guardavo i vispi occhi attenti
Non riuscii ad andare avanti, la pompa
di calore che avevo di fronte mi sbuffava addosso, il piccolo spazio
mi schiacciava, quelle pareti senza via d'uscita.....soffocavo
Aprii la porta, chiamai la bidella : “
per cortesia, spenga quella pompa di calore” chiesi
“ma, maestra fa freddo”
“per favore, la spenga un po', sto
male”
La bidella spense la pompa ed aggiunse
“vi lascio la porta aperta!”
“Si grazie” risposi
Mi sentii sollevata.
Poco dopo feci riaccendere la pompa
perchè i bambini lamentavano il freddo.
Ripresi a star male. Aprii la porta :
un via,vai di bambini al bagno.
Dovevo concentrarmi sui giochi, dovevo
superare quella fobia dello stare in gabbia.
Poco dopo arriva una collega, mi
sorride e chiude la porta “ scusami cara” mi dice “ la tua voce
mi disturba!”
“ti prego” la supplico, “ mi
sento soffocare, starò attenta, ma non chiudermi la porta!”
La collega acconsente,
Poco dopo, si ripete tutto.
Questa volta la collega chiude la
porta.
Sto male, cerco una sedia, sto
male......sto male....cerco una sedia...
Sono stesa su qualcosa di molto
stretto, con le mani trovo degli appigli, mi ancoro, ho paura di
cadere.
Ho mal di testa.
Dormo.
Sento delle voci, apro gli occhi, mi
voltano le spalle, riconosco voci maschili, sono vestiti di bianco,
hanno le braccia sollevate e osservano delle lastre.
“ si, in questa seconda la macchia è
più sfocata...però è un 'ischemia!”
Capisco.
“Sono in ospedale!”.
Quello fu il mio ultimo giorno di
scuola , il primo di un nuovo percorso di vita.
2 commenti:
che fine amara..
mi par di capire che è autobiografico..
la vota è fonte d'insegnamento , di ispirazione...
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