Romanzo
Di Maria Antonietta Sechi da un'idea di
Antonio Pes
La giornata volgeva al termine.
Gli ultimi raggi di sole accarezzavano
le colline, e rinfrangendosi sulle più alte rocce del paesaggio ,
riflettevano caldi colori di porpora e oro su un paesello che, come
incanto, si intravedeva in armonica fusione con il paesaggio.
Poche case bianche spiccavano tra i
colori della selvaggia natura, abbarbicate in uno spiazzo tra le
montagne della Gallura.
L'una accanto all'altra, come gregge di
pecore che, intimidite dal buio della sera, si incoraggiano a tatto
di vello, nello spazio chiuso dell'ovile.
Qua e là , sparpagliati nel paesaggio
, piccoli stazi isolati , colmi di laboriosità e ospitalità.
Gente semplice, viveva il tempo
cadenzandolo al ritmo degli avvenimenti naturali.
Al sorger del sole, gli uomini, si
recavano al lavoro nei campi o con il bestiame e al tramonto
rientravano.
All'alba o al tramonto, il silenzio
della natura era interrotto dalla risonanza delle loro scarpe
“bollettate” che, battevano sul selciato di stradette appena
tracciate, tra i sassi e la macchia mediterranea.
Quella sera , a rompere quell'incanto,
fu un gran polverone proveniente da un sentiero che scendeva da
monte “Purpureo”.
monte “Purpureo”.
Un tintinnio di campanelli e belati di
pecora annunciarono il precipitarsi di un gregge che sbucò da dietro
una macchia di lentischio e da dietro piccole rocce di granito,
sparse qua e là, per introdursi, come da millenario rito, nel loro
ovile.
Ad una ad una, attraversarono il varco
che immetteva in una tanca , limitata da un muretto costruito con
pietre differenti per forma e grandezza.
Un cagnolino bianco “Piluccu”, così
chiamato per il suo pelo folto , lungo e morbido come la lana,
abbaiava e saltellando guidava le pecore verso il varco;
consapevole del suo incarico,
rincorreva quelle “distratte che si allontanavano dal gregge.
Ritto, davanti al varco, stava un
giovane , alto, bruno di carnagione, occhi grandi, scuri , osservava
compiaciuto la destrezza del suo cane, mentre, attentamente contava
le pecore che, entrate nell'ovile, andavano a raggrupparsi ai piedi
di un grande olivastro.
- bravo Piluccu !- incoraggiava
l'animale che aumentava il suo saltellare ed abbaiare .
Giuanneddu, così si chiamava il
giovane, aveva ventisei anni. Indossava l'abbigliamento tipico del
pastore sardo: gambali di cuoio alti fino al ginocchio, pantaloni di
fustagno di un confuso colore verde-marrone, la giacca pure di
fustagno e sulla testa un berretto di feltro, calato sulla fronte,
quasi, a proteggere lo sguardo e con esso i pensieri.
Alla fine della conta, con gesti
ritmati dall'abitudine, il giovane prese una frasca spinosa di pero
selvatico, entrò anche lui nell'ovile e ostruì il varco.
Giuanneddu pensava con sollievo che a
breve avrebbe terminato il lavoro.
Presa una pinta, nascosta dietro un
cespuglio, si mise in mezzo al gregge e procedette alla mungitura ,
invitando, con carezze e parole dolci, le pecore più inquiete alla
tranquillità.
Man, mano che la pinta si riempiva, travasava il latte in grandi
bidoni...e così finchè non ebbe munto anche l'ultima pecora.
2 commenti:
...bevo un sorso di latte e aspetto il seguito.
Ciao a presto:)
ecco il seguito...bacio
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