31 luglio, 2011

Contratto di matrimonio.....................fine


Matteo un impiegato dell’ufficio postale, era un giovane povero ma intelligente.
Il parroco del suo paese, riconoscendogli doti e qualità da premiare, aveva contribuito economicamente ai suoi studi di ragioneria, a Sassari.
Una volta diplomato aveva trovato immediatamente lavoro,  nell’ufficio postale della stessa città, situatodi fronte al Convento.
Viveva nella  nella parte vecchia di Sassari .
Le case del vecchio quartiere si ammucchiavano come pecore addormentate l’una attaccata all’altra.
Non erano silenziose ma, come le pecore, ruminavano continuamente:
Il chiacchiericcio delle donne da una finestra all’altra, lo scorrere della piccola carrucola arrugginita che, tendeva i fili per stendere i panni, quelle che facevano la fila alla fontana per un secchio d’acqua; gli insulti di chi, passando sotto piccoli balconi, veniva colpito da getti di liquidi e solidi di ogni genere, li “buttighini” con l’oste che ripuliva il bicchiere usato, con il solo dito indice sotto un filino d’acqua................
L’odore delle “ziminate”, del vino delle risate,dei canti a “chitarra”, caratterizzavano il quartiere.

Matteo, salutava tutti gentilmente, concedeva  poca confidenza .
Era contento di  vivere in quel rione dai colori intensi, dove, era considerato un “bravo giovane”

Le suore mandavano spesso Pierina a far le commissioni, anche alle poste.
Avevano tanta fiducia in lei , nella sua maturità, saggezza e serietà.
Conobbe Matteo e si innamorarono.
Entrambi timidi ,arrossivano al minimo tocco delle loro mani.
Dopo qualche mese Matteo le dichiarò il suo amore. Ella abbassò gli occhi arrossendo.
Questo fu il suo consenso.
Si vedevano pochissimo e solo all’ufficio postale.
Poiché non erano nel comportamento di Pierina né l’inganno , né la bugia, un giorno chiese un colloquio con la Madre superiora e si confidò.
La Madre Superiora sorrise con le labbra ma, i suoi occhi brillarono di gioia. Conosceva bene il giovane,  lo ritenne adatto per la dolce Erina.
Dopo averla ascoltata parlò
“mia cara figliola, per me ti darei subito il permesso affinché il giovane Matteo possa venire ad incontrarti nelle  ore dei colloqui, ma tu piccola mia, hai un padre, i tuoi zii e  “nonna Annedda”
anche se li conosci attraverso i ricordi , tu sai che si sono interessati a te con scritti e doni, secondo il tempo e le possibilità a loro disposizione
Certamente è troppo poco per definirlo un “rapporto” ma, io sento che sia giunto il momento che tu possa riavvicinarti alla famiglia, attraverso una vera richiesta di fidanzamento. Sei d’accordo?”
disse la suora.
Erina sentì il suo cuore diviso in due parti: ritrovare i parenti….spezzare la serenità della sua vita con persone quasi sconosciuti, suo padre così estraneo nella sua vita…………dover lasciare il convento……………….tanti, tanti pensieri nebulosi ed incertezze presero forma nella sua mente.
Una sola certezza: amava Matteo e desiderava una famiglia tutta sua , dei figli a cui  donare  quell’amore che le scoppiava nel cuore e di cui aveva tanto desiderio. Se la strada per accedervi passava attraverso la sua famiglia era pronta anche per quello
Acconsentì.
La suora scrisse al padre di Pierina informandolo sul giovane e chiedendo un incontro per conoscersi e per poter chiedere la mano della figliola.
La lettera arrivò ad Annedda.
La donna emozionata aspettò che Cicu fosse sobrio e gliela consegnò. Nel leggerla, per un attimo Annedda che, lo osservava, notò uno sguardo di coscienza in tumulto.
Poco dopo, scrisse in risposta che, avrebbe atteso il giovane per il sabato successivo.
Si era in Febbraio, le giornate erano fredde e corte.
Matteo uscì alle quattordici dall’ufficio, recatosi a casa si preparò, indossando il miglior vestito che possedeva, si annodò la cravatta e sceso in stazione contrattò con un cocchiere il prezzo per condurlo in un paesino che distava dalla città una settantina di chilometri.
Presi accordi partirono.
Quando arrivarono al paese, un cielo tristemente annuvolato preannunciava un anticipo delle tenebre.
Il cocchiere si fermò alla stazione di posta.
Entrambi gli uomini scesero dalla carrozza , chiesero informazioni sull’ubicazione dello stazzo della famiglia  del povero Pedru Cannas, scoprirono che era sito fuori dal paese, in cima ad una collina.
Furono informati ,inoltre che, la strada per accedervi era sterrata e solcata dalle ruote dei carri trainati dai buoi, poi il resto della situazione disastrata, lo aveva combinato la pioggia.
Il carrozziere disse:
“Matteo non potrò accompagnarti con la carrozza, perché fra poco sarà buio, io non conosco la strada , non posso mettere a rischio i garretti del mio cavallo!”
“senti” propose Matteo “ se tu rimani qui alla posta e mi presti la lampada, io prenderò ,come punto di riferimento le luci  dello stazzo che, si vedono  e salirò a piedi”
Il cocchiere si trovò d’accordo e , mentre, si dirigeva a “lu stangu” a bere qualcosa, Matteo con la lampada in mani prendeva la stradina disastrata che l’avrebbe condotto dal suocero a compiere il dovere.
Cammin facendo la stradina era sempre meno visibile, Matteo procedeva  lentamente e con cautela.
Improvvisamente inciampò e cadde su una massa caldo e informe, un odore forte e rancido di vino e tabacco si sollevò insieme ad un lamento.
Conobbe così suo suocero.
Lo seppe solo quando, arrivato allo stazzo, raccontò l’accaduto.
Annedda lo fece accomodare e mandò due suoi figlioli a raccogliere Cicu da “lu trainu”
La donna diede il permesso a Matteo di frequentare Erina, non solo, li invitò per festeggiare ufficialmente il fidanzamento in famiglia, alla domenica successiva.
Dopo pochi mesi si sposarono ed andarono a vivere nella  piccola casa di Matteo.
Avevano già tre figli, quando, Annedda morì.
In quegli anni, dopo il matrimonio, si erano frequentati.
Spesso Erina e Matteo andavano allo stazzo al sabato sera e rientravano in città alla domenica.

Si recarono al funerale della “nonna”.
Quando terminò la cerimonia funebre,, ogni parente ,con la propria famiglia, ritornò alla sua casa.
Erina vide suo padre, seduto su una sedia, lo sguardo perso nel nulla della solitudine che lo attendeva.
Morto, anche Barore ,sarebbe rimasto completamente solo in quella casa che, brulicava, da sempre, di vita umana.
Erina ebbe pietà. Si avvicinò a suo padre:
“babbo, mettiamo i tuoi vestiti in una sacca e vieni a vivere con noi!”
Il vecchio sollevò gli occhi arrossati e non accettò-
Si decise solo dopo aver udito le parole con le quali sua figlia, il genero e i nipotini insistevano perché andasse a vivere con loro.
L’uomo salì sulla carrozza ed iniziò una nuova vita.
Così pensava Erina: allontanandolo dal paese lo avrebbe allontanato dal bere.
Fu così solo all’inizio.
Cicu imparò presto le strade che conducevano alle bettole.
A niente servivano i richiami.
Un giorno, l'uomo, si lamentò con Erina perché erano poveri e pagavano l’affitto in una casa strettissima.
La donna che, non aveva mai perso la pazienza con suo padre, gli rispose:
“adesso venderemo i terreni che hai ereditato da bisnonno de Candia, così potremo costruirci una casa grande ed io non cucirò fino a notte fonda, per raggranellare qualche soldino”
L’uomo, chinata la testa, tacque.
Erina si pentì di aver detto quelle parole. Era incapace di offendere qualcuno.
Alla sera, quando rientrò Matteo gli raccontò tutto.
Decisero insieme di chiedere un prestito e costruire una casetta comoda al paesello, in quel fazzoletto di terreno che il notaio aveva salvato per la giovane. Era tutto quello che si potevano permettere
Dopo tre anni di sacrifici, si trasferirono nella casa nuova.
Cicu riprese la solita vita accanto ai fratellastri, Matteo fu trasferito all’ufficio postale del paese. Insieme ad Erina erano amati e stimati da tutti.
I loro tre figli si laurearono realizzando finalmente il sogno del trisavolo
Intrapresero carriere di avvocato e docenti. Non riacquistarono  mai i possedimenti lasciati da don Giuanne de Candia, nemmeno la casa patronale, però ereditarono la bontà della trisavola e della nonna. Formarono stimate ed onorevoli famiglie
Nonno Cicu visse sempre con sua figlia, attorniato dai nipoti
Quando, chiuse gli occhi alla vita terrena, era quasi centenario. Non parlò mai dei suoi errori.
              FINE

                                       

Nessun commento: