10 giugno, 2016

Attimi: Cassius Clay

Attimi 10 Giugno 2016

Muhammad Alì ovvero Cassius Clay.
La notizia della morte di Cassius Clay mi ha turbata. Chiusa in un' incontenibile tristezza, la sua immagine, come in tremolio d'onda, si culla tra le mie lacrime.
Non mi chiedo perchè soffro così intensamente, non desidero chiedermelo e ancor di meno stare di fronte alla notizia che mi provoca tanto malessere. Cerco di distrarmi. E' inutile.
Eppure, non ho mai seguito Cassius Clay sul ring. Non ho mai considerato il pugilato uno sport poiché non riscontro valori educativi fondamentali: norme di convivenza e/o appartenenza ad un gruppo ed il rispetto dell'altro. Due pugili sul ring stanno di fronte, cercando ciascuno l'attimo giusto per colpire l'altro, così simili a due bestie che si puntano, si osservano intimorendosi a
vicenda prima di azzannarsi per una preda-cibo o per ottenere una posizione rispettabile nel branco oppure, peggio ancora, mi ricordano quelle scene drammatiche, come nel film “Zanna Bianca”, dove i cani sono addestrati ad attaccarsi combattendo all'ultimo sangue, con il solo scopo del divertimento del pubblico che sfoga in quel sanguinario incontro la propria brutale bestialità. Rileggendo le biografie di alcuni pugili del passato mi rendo conto che hanno un denominatore comune: provengono tutti o quasi da un contesto sociale svantaggiato, ove la condizione di povertà di cultura ed economica li ghettizza.
Ricordo che da bambina, in fondo alla via dove abitavo, vi erano delle casette basse, una era particolarmente in condizione di degrado. Era la dimora di una famiglia numerosa e molto povera. Noi, bambini della “zona alta” giocavamo tutti insieme nei cortili ma anche sulla strada, sotto l'occhio vigile delle mamme pronte a sgridare, consolare, pulire con il fazzoletto i nasi che colavano. Quest'ultimo mi dava l'impressione che fosse il vero lavoro delle nostre mamme “ vieni qui a pulire il naso” e via con una strofinata a tutta narice.
I bambini della “zona bassa” giocavano tra loro, liberi e chiassosi, spesso scalzi. I più piccoli, con un solo grembiulone addosso correvano, si arrampicavano su muretti, mostrando il sederino dello stesso colore della pianta del piede. Non v'era alcuno che strofinasse loro il naso; una strisciata di naso sul braccio, un percorso di muco fresco s'incrociava con quello secco, una tirata di naso all'indietro e vai...a giocare.
A volte io andavo alla loro casa con Angelina, la “donna di servizio “ che aiutava mamma, solamente per comprare, a seconda delle stagioni, le lumache di tutte le grandezze, i funghi, oppure ogni tipo “d'erba”: finocchietti selvatici per insaporire il minestrone, la malva per i decotti. Tutto ciò che cresceva spontaneamente nelle campagne. Loro vivevano di quell'introito.
A quattordici anni, il figlio maggiore scelse la strada della boxe. Si allenava duramente e con costanza, come a voler liberare le spalle dalla zavorra della sua condizione. Come si sparse la voce sul suo potenziale da pugile, con un futuro promettente, i ragazzi della zona alta lo avvicinarono.
Lo ascoltavano con attenzione. I lividi sul suo volto alimentavano la loro fantasia. Appena i ragazzi cambiavano argomento lui taceva , si allontanava muovendo i sassi del selciato con dei poderosi calci o sfidava tutti ad un confronto a pugni.
Non ho idea della fine che abbia fatto il giovane, se sia riuscito o meno a realizzare il sogno di volare alto o quanto sia durato il sogno.
Però ho seguito, attraverso i media, la “brillante” carriera di Cassius Clay, apprezzando non il pugile ma “l'uomo “ che vi era dietro;
Muhammad Ali, l'uomo nuovo, libero, un “Io” indomito che combatteva sul ring il suo avversario più terribile: la segregazione razziale.
Muhammad Alì che rifiutò il servizio militare in Vietnam : i Vietcong non mi hanno fatto niente i veri nemici sono qui.
Sono stanca. La concentrazione nel ricercare i perchè la morte di un idolo del pugilato mi abbia rattristata in tal modo, mi ha svuotata.
Lascio la scrivania. Dal terrazzo osservo il tremolio delle fronde del mandorlo...e lì, trovo la risposta.
Tra quelle fronde, nel riverbero del sole rivedo Muhammad Alì che accende la fiaccola delle Olimpiadi di Atlanta.
Trema come le fronde davanti a me. Non è il vento di un primo mattino di Giugno a scuoterlo ma il Parkinson.
Ho capito.
Non è la sua immagine che trema sulle mie lacrime ma sono le mie
lacrime che tremano del suo e del tremore di chi malato di Parkinson

Mietta