01 novembre, 2013

Racconto...Oltre la nebbia

Oltre la nebbia.

Camminava nella nebbia fitta.
Non aveva memoria del suo esistere, del suo tempo. Si toccò, sentì sotto le mani le ossute forme coperte di stracci.
Una certezza “non era una bambina”
Ma chi sono? Dove sono? Dove sto andando...? Si chiese.
Non aveva paura.
Attorno a lei era tutto ovatatto da un velo di nebbia; così la sua mente.
Eppure non provava angoscia anzi si sentiva “protetta” da quel nulla.
Andava seguendo un istinto positivo, benevolo che l'avrebbe condotta non sapeva dove ma certamente verso qualcosa che per lei sarebbe stata importante.
La nebbia cominciò a diradarsi . Scoprì di muoversi agilmente in una intricata foresta.
Quell'ambiente le era naturale .
Sentiva che ogni albero le apparteneva come se facesse parte di quel corpo coperto di stracci privo di identità, di ricordi, di pensieri che era il suo.
Eppure li sentiva vicini, le camminavano avanti, manifestandosi nel fruscio delle foglie, le indicavano la strada. Udì una musica nota, una nenia, no!!, era una dolce ninna nanna che sapeva di latte di seno materno... di mamma, di nido...di casa.
“Casa? Quale casa?”
Il cuore esultò : “una luce, finalmente!”.
Si fermò. Quella luce la invitava. Ignorava quanto fosse distante da lei, non sapeva nemmeno di quale natura fosse...vi si sentiva attratta come falena dalla lampada.
Era certa l'avrebbe condotta verso quelle conoscenze che , come feti deformati , la sua mente li aveva abortiti.
“Ma era stata la mente ad abortire i ricordi, le conoscenze senza il suo consenso o lei stessa aveva provocato l'aborto?”
Si sedette confusa. Presa la testa tra le mani, chiusi gli occhi pensò a voce alta:
- “Saprò chi sono? da dove vengo? Cosa sto cercando...ma lo desidero veramente?... sarò in grado di accettare le ciò che non ho più?
-In fondo camminare in questa foresta è piacevole, sono serena...non sento fame, sete, sonno..
Dopo una pausa - mi sento incompleta...non so chi sono!
...non posso vagare nell'ignoranza, nel vuoto della mente...forse sono, persino, morta...”
Prima che i dubbi avessero la meglio sulla ragione, si sollevò e continuò a seguire l'istinto.
Man mano che avanzava svaniva il fruscio delle foglie ,mentre, si era spento completamente il canto di quella mamma.
La luce era l' unico punto di riferimento per il suo andare. Accelerò il passo, adesso desiderava raggiungere quel faro. Quella fiamma risvegliava emozioni vissute, sensazioni d' amore ambito...
Ormai aveva fretta di arrivare.
Davanti alla luce si fermò abbagliata, abbassò le palpebre protettive. Non vide il buio nero , apparso come ricordo, con orribili , macabri volti demoniaci ma, fasci di colori che si incrociavano con altri raggi di luce . Rimase ad occhi chiusi qualche minuto godendosi il calore di quei giochi luminosi, come fiore che si dischiude al sole , come bimbo che si apre alla vita.
Riacquistato il controllo, dischiuse gli occhi e guardò davanti a sé. Vide una roccia di tufo, la riconobbe perchè risaltava, sotto la luce, con il suo colore bianco .
La roccia era cava ma non naturale , sicuramente scavata, ma in modo strano.
Lo scavo sembrava eseguito a cucchiaiate, pezzetto dopo pezzetto con paziente amore, qualcuno aveva sagomato la roccia a forma di fungo e del fungo, cesellato in tale insolito modo, gli aveva dato carezzevoli, morbide rotondità. Il cappello stratificato , nascondeva quella strana abitazione ad occhi estranei.
Il cuore le sobbalzò quasi volesse scrollarsi di dosso ricordi nascosti da tempo nei suoi meandri.
Non si meravigliò di quel pensiero , era sola di fronte a qualcosa che sentiva sua, e quella luce.
“ Forse qui troverò...” non osò affrontare il pensiero , decisa agì.
Entrò, sentì naturali i gesti come atavica abitudine, come un vissuto del quale conservava la sicurezza affettiva che adesso la richiamava a sé.
Sentì russare, si avvicinò. In un improvvisato letto un uomo, scompostamente steso, dormiva un sonno stanco.
Un volto invecchiato dal lavoro all'aperto e tante rughe che neanche il sonno riusciva a rilassare
Attorno a lui tutto lo rispecchiava : una cucina a legna che aveva perduto ogni pezzo , conservava del suo antico splendore il buco per immettervi la legna e quello di perdute griglie, da dove fuoriusciva una fiamma costante, luminosa. La donna si avvicinò e poggiandovi le mani sentì l'amore invaderle il cuore, non lo aveva scordato, bramato si. “Forse cercavo questo ?” peusò
Tenendo le mani sulla fiamma si guardò attorno, nè lusso, né eccessi, anzi povertà...una serena povertà.
Una vecchia cristalliera, perlomeno inizialmente lo era, pochi bicchieri non imparentati tra loro, lo si capiva dalle forme, brillavano di luce riflessa.
Un lavandino attaccato a due rampini che non andavano d'accordo , proprio non si potevano vedere, uno stava in alto e l'altro, a giusta distanza ma...sotto.
L'antipatia tra i due , dava al lavandino l'espressione umana di una bocca storta, beffeggiante, quasi una maschera , aveva persino gli occhi piccoli e quadrati. Erano i buchi del pensile che sovrastava il lavandino, dove un tempo vi erano degli sportelli.
La maschera fissava la donna. Lei “ ti conosco mascherina” e fece le boccace
Si sentiva a suo agio. Non si chiedeva neanche il perchè.
Si spostò verso la fine della cavità fungo e trovò esattamente ciò che già sapeva. Sulla destra una tendina , si accostò, sua mamma la teneva accanto a sé, con un braccio la proteggeva nel sonno , mentre, con l'altro teneva il fratellino che succhiava il latte dal seno materno al cui capezzolo rimaneva costantemente attaccato.
Si sedette per terra, sul gradino scavato che portava nel retro del fungo dove un albero di olivo , inclinato dal vento , nascondeva l'intimità dei bisogni corporali della famiglia.
“Mamma, mamma sono ritornata!”
Sentì la voce della mamma “ Marta , piccola mia !” e mentre parlava alla sua bambina la coccolava, la cullava insieme al piccolo che dormiva sereno sul seno; cantava loro quella ninna nanna che l'aveva ricondotta a casa.
L'uomo, suo padre, svegliatosi attizzò con nuova legna il fuoco della vecchia cucina, si avvicinò alla moglie, l'abbracciò posando delicatamente la mano sulla testa della sua bambina.
Marta seduta sul gradino viveva quelle manifestazioni d'amore tra i suoi genitori, e dei suoi per lei.
Si stringeva attorno alle sue stesse braccia per riempirsi di quell'amore.
“Come ti sembra la nostra bambina? Io la sento febbricitante!”
“Si !” rispose sua madre “ che Dio ci aiuti!”
Inginocchiatosi accanto alla moglie pregarono il Signore perchè non portasse via la loro bambina.
Marta sollevatasi dal gradino li chiamò
“mamma,papà sono qui, non sono morta!”. Poichè non reagivano li toccò
“ mamma, papà!” li chiamava scrollandoli
“ oddio sono morta !” urlò “non mi vedono, non esisto...sono un'ombra smarrita
Uscì piangendo fuori da quella casa, corse per la foresta urlando …e fu giovinetta, fu bambina, neonata, nuotò nel liquido amnniotico e fu , neonata, bambina, donna e ancora feto...correva, correva cercando sé stessa ,il suo diritto alla luce...

“ signora, signora!” sentì una voce chiamarla, una mano scuoterla.
“ signora Angelica, la prego si calmi, sta facendo un brutto sogno!”.
La donna aprì gli occhi. Si sentiva stanchissima, tesa.
Fece uscire la “donna” e sedutasi sul letto fermò il sogno prima che i dettagli sfumassero.
Aveva trovato nel sogno le risposte ai tanti dubbi.
“ a che cosa mi servono i titoli e i tesori che possiedo se non ho amore? Ci sarà pure una vita nuova dove possa essere amata per quel che sono, dove io possa essere me stessa, dove possa risplendere di luce riflessa, elevare il mio spirito in radiosi voli d'amor scambievole... ”
Udì del movimento provenire dal selciato davanti al portone dell'ingresso.
Si alzò. Indossata la veste da camera di seta, si avvicinò alla finestra. Caricate le valigie sulla macchina suo marito andava via. Lo osservò senza rimpianto; l'aveva solo sfruttata e tradita.
I suoi genitori attenti ad accumulare ricchezze, erano morti, dopo una vita di litigi per interessi economici.
Lei, in un'altra vita aveva, conosciuto l'amore quello diretto, raggio luminoso, faro per sperduti viandanti, il dono più grande del Divino: la famiglia , tempio di vita.
D'allora cercava tra una vita e l'altra, sentiva che da qualche parte aveva nascosto ,come tesoro prezioso quel raggio, grattando il nascondiglio, nella roccia di tufo con il cucchiaio della “pappa”
....adesso poteva “essere” sé stessa, si era ritrovata.










7 commenti:

Ellie ha detto...

un racconto davvero interessante, avvolto in un'atmosfera da foresta magica.
un abbraccio

bianco su nero ha detto...

ciao Ellie
e come una magia dice tutto e niente
grazir Ellie
un abbraccio a te

TheSweetColours ha detto...

Bellissimo

Gabe ha detto...

un racconto che avvince e fa riflettere,buon fine settimana

bianco su nero ha detto...

grazie..i dubbi a risposta soggettiva
buon fine settimana a tutti

Vento di Passioni ha detto...

Un racconto mistico, che guida il lettore alla scoperta del proprio essere.-"Chi nella vita non è stato scosso da un sogno,proprio perchè il viaggio dentro la propria anima non è stato appagante?"
credo che con un lavoro di introspezione ognuno di noi cambi qualcosa nella propria vita.
Maria Antonietta amica mia, sei eccezionale,complimenti!
Ti abbraccio Forte augurandoti tutto ciò che meriti e desideri per il Nuovo Anno 2014.
Gabry

bianco su nero ha detto...

"vento di passioni" la vita non è "pancia" ma un continuo cercarsi, scoprire l'essere che è in ognuno di noi, chiuso in quell'involucro di fanghiglia che è il corpo umano. E' l'anima che dà vita al corpo e non viceversa....stare bene con sè stessi è vivere...ti ringrazio per l'apprezzamento, "chi mi capisce mi somiglia"...felice di questa condivisione un abbraccio di buon anno e felice vita..mary