30 settembre, 2013

" Partono i bastimenti" cap. primo... per gli amanti della narrativa, il mio primo romanzo in 7 capitoli..

29 settembre 2013
Premessa : ho sempre amato leggere,ascoltare gli anziani ,guardarmi attorno...così è nato il mio amore per la narrazione. Ho cominciato con brevi racconti poi, presa dalla "mia Sardità" ho utilizzato le conoscenze trasmesse da nonni, genitori, suoceri....per scrivere questo mio primo romanzo dedicato a "s'istherrados"...gli emigranti.

Dedica

A te
TERESA FANTASIA
e a tutti quelli che seppur lontani
portano con onore
la "sardità" nel cuore.

mariantonietta


PARTONO I BASTIMENTI
Di
MARIA ANTONIETTA SECHI
Cap. primo : La famiglia di Rosina 

Rosina abitava in un’isola, eppure non aveva mai visto  il mare.
Il suo paese, all’interno del nord Sardegna , stava  arrampicato sopra una montagna scura che si elevava verso il cielo intensamente azzurro,
Su un versante della stessa, delle casupole e capanne di pastori , guardavano sornione,  tra macchie di lentisco, cisto, rosmarino, chi passava nella stradina sterrata che collegava il paese con il resto del mondo.
Dal paese si vedevano le colline e si intuiva più avanti la pianura.

La ragazza era la maggiore di dieci figli. Sua madre, svezzato un figlio ne partoriva un altro.
La famiglia poverissima, viveva  al servizio del padrone di una masseria, suo padre era il servo pastore e sua madre accudiva ai lavori nella casa patronale.
Allo spuntar del sole,  Giuanne, usciva dalla sua misera casa per andare nell’ovile, mungere le pecore, portarle al pascolo in cambio di un po’ di latte, del  formaggio, gli avanzi del pasto del padrone un po' di legna e vestiti e scarpe che non stavano più a lui, alla signora ed ai loro figli...... lavorava per sopravvivere
Giuanne silenzioso, con la testa china, ubbidiva e ringraziava il padrone per il privilegio di quelle paghe.
La casa del servo-pastore era un’unica camera costruita  con  pietre e fango. Il tetto, a forma di cono, era fatto di canne ricoperte di frasche. Il padrone gli aveva concesso di costruirla, poco distante dalla casa patronale, per avere i servizi della nuova  famiglia a portata di mano.
Il cuore della camera era un grande camino.
 Sua moglie ,Mattea , si levava dal letto prima del marito, andava presso il camino e spostava la cenere, con la quale, prima di andare a dormire, aveva coperto alcuni tizzi di legna accesa, quindi, soffiava sulla brace con “lu suladori”, una canna stretta e lunga, il suo soffio rianimava la fiamma, subito ella vi aggiungeva degli sterpi secchi e nuova legna, prendendola da un contenitore di sughero che stava vicino al camino.
Il suo secondo figlio, Marieddu, aveva l’incarico di tagliare la legna e tenerla sempre ad asciugare nella conca di sughero. Era  il custode del fuoco dove le sue sorelle mettevano il  "trippiede" con la pentola per cuocere i legumi con il lardo: il pasto per i fratelli.
Il ragazzo, poi, portava al pascolo le loro cinque caprette e la mucca. Si occupava di mungere, e con la collaborazione delle sorelle, facevano la ricotta , il burro e il formaggio par il sostentamento della numerosa famiglia.
Mattea scaldava il latte per il marito, poi gli metteva  il pane dentro la bisaccia ,insieme ad un pezzo di formaggio e, senza un saluto, Giuanne usciva, sotto la brina mattutina, per recarsi all’ovile.
Accudiva al gregge
Ma questo succedeva da Aprile a Novembre, nei mesi caldi
All’arrivo dell’inverno, Giuanni accompagnava il gregge in luoghi  più a valle, meno freddi ma lontani dalla montagna e dalla famiglia.
In quei mesi di solitudine,  trascorreva, la maggior parte della giornata, seduto sopra un sasso o pezzo di roccia, che spuntava tra le erbe e i fiori selvatici, a dondolare seguendo la nenia del vento, che spesso accompagnava con  il suono delle launeddas, uno strumento di canne da cui fuoriuscivano malinconici, solitari, arcaici suoni, costruito con le sue stesse mani.
Lo sguardo perso nel vuoto, il viso solcato da rughe, la pelle color del tempo trascorso all'esterno, gli davano un aspetto anziano anzitempo.
Quando le pecore, alla sera si ammucchiavano l’una vicinissima all’altra, per riscaldarsi, egli trovava riparo nella “Pinnetta”, la capanna di sassi ricoperta di frasche.
L’orbacce, il cappotto di lana grezza, preparatole da Mattea, lo proteggeva dal freddo e le pecore , il cane da guardia al gregge, la natura nel letargo invernale, erano la sua unica compagnia.

Anche Rosina si levava presto dal letto per aiutare sua madre.
Sentiva amore e pena per quella madre segnata dalle gravidanze e dal lavoro.
La ragazza si recava alla sorgente e, con un secchio di rame, raccoglieva l’acqua trasparente, cristallina e gelida, per riempire, secchio dopo secchio. , le giare per la cucina, e fuori l’abbeveratoio degli animali, che suo padre aveva preparato, proseguendo uno scavo nella roccia, iniziato dalle intemperie nel tempo.
Recatasi la mamma, ai servizi della "padrona", ella diventava la mamma dei suoi fratellini.
Li seguiva , preparava il pranzo, curava le galline sparpagliate nel piccolo cortile, cuciva indumenti , sferruzzava calze di lana grezza, tagliava  rozze scarpe con la pelle della pecora, per riparare i loro piedi durante l'inverno.......aveva diciotto anni .........un unico pensiero.........aiutare la famiglia.
Inizialmente dormivano tutti nello stesso lettone.
Giuanne lo aveva fatto con le sue mani, con tronchi di legno che gli aveva regalato il padrone per il matrimonio.
Mattea aveva preso la stoffa per fare il materasso da ziu Giogliu, un ambulante che, in cambio di ricotta, formaggio ,latte e pane vendeva scampoli di stoffa.
Passava , di paese in paese, con il suo asinello che, sulla groppa portava due bisacce di scampoli, di  “mussurina” una tela di cotone un po’ fine e “tela biaitta”, un cotone resistente e grezzo, inoltre, tela di fustagno e velluto, per fare  giacche e pantaloni.
Presa la tela si era impegnata a cucire a mano il materasso che aveva riempito di misero crine.
Era felice, aveva un letto e un materasso tutto suo.
La sua padrona le aveva regalato “sa mesa” il tavolo per impastare il pane,Giuanne aveva fatto “ gli arredi” con la “ferula”: una strana erba , simile al finocchio selvatico che crescendo spontaneamente abbondava nella campagna.
Aveva raccolta “la ferula” all’inizio dell’estate, quando il suo fusto si era allungato e ispessito, lo aveva messo ad essiccare,  poi lo aveva lavorato creando tronchetti.  che legava tra loro con l'asfodelo e fissava con “chiodi” di legno che, lui stesso preparava lavorando schegge di legno con "la pattadesa", un coltello dalla lama sottile e appuntita orgoglio aristico degli abitanti di Pattada.
Giuanne aveva preparato l’arredo per la sua casa con Mattea: mensole, una cassapanca., sedie, sgabelli.
Alle travi, che reggevano le canne del soffitto annerito dal fumo del camino, aveva appeso un  “cannitu”: una graticola di canne, dove si metteva ad asciugare e affumicare  il formaggio per la famiglia.
Si sposarono sentendosi ricchi perché avevano una “pinnedda” tutta per loro.
Mattea, una notte alla settimana, si alzava alle due del mattino e impastava la farina per preparare il pane che sarebbe servito per il sostentamento della sua famiglia , poggiava le forme della pasta del pane,sul sasso caldo del camino , quando era dorato al punto giusto, lo raccoglieva avvolgendolo in panni bianchi.
Quando Giuanne si preparava alla " trasumanza" , per portare il gregge al pascolo nella valle, Mattea preparava con cura il pane " carasau" , perchè a suo marito .non mancasse il pane ,in quel lungo periodo.
Dopo aver terminato il pane, andava alla sorgente per portare l'acqua e, prima di recarsi al lavoro puliva "lu pamentu" , il pavimento di terra battuta della sua "casa": gettava, spargendo con la mano, delle gocce d'acqua sul " pavimento" poi spazzava con la scopa di saggina.
Su questo ritmo di vita iniziarono a nascere i figli.

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