28 febbraio, 2011

poesia: una mamma alla sua figlia....

quando nascesti
ero poco più di una bambina,
ti misero tra le mie braccia
ed io ebbi per la prima volta
la tanto sognata bambolina.

Ti tenevo al mio seno
rigonfio di latte
e tu con le labbruzze succhiavi.
io ti cantavo la ninna nanna,
ti sentivo ancora dentro di me
parte di me
mentre giocavo a far la mamma.

Timidamente, ti cambiavo,
ti coprivo di pizzi e trine
di coccole e bacini, ti sollevavo,
tu gorgogliavi con tenere risatine
e volevi toccarmi
allungando verso me le braccine.

Non smettevo mai di guardarti
i miei occhi rapivano
ogni tuo gesto, movimento.
Misi il mio dito nella tua manina
tu lo stringesti.....
sentii una fiammata d'amore,
con quel gesto mi
avevi rapito il cuore.

Adesso che siamo donne
che dolce meraviglia!!!!
quando giochiamo a far
tu la mamma ed io la figlia.



25 febbraio, 2011

Poesia: compagna di viaggio



i miei pensieri malinconici
conoscevano la strada
e mi vennero a cercare

così presi la via
che mi avrebbe condotta al lago.
Avvolta nel mantello
 nella notte vagavo.

Dovevo trovare me stessa,
e nel fruscio delle fronde
cercavo di starmi di fronte

 Ignorando i miei dubbi,
nascondevo i tristi pensieri
immersa nel buio della sera
perdevo il senso dell'oggi e di ieri.

Seduta vicino al lago,
tra la mente e il cuore,
ciò che era nascosto
apriva un doloroso varco.

vedevo i compagni di viaggio
della mia vita
cantare alla cadenza dei miei passi,
insieme a  colui che il mio respiro sfiora

Sulla barca della vita,
si spiega, al vento imprevedibile,
una vela, che fende un'acqua calma o tempestosa
e il dolore non è sereno come il profumo di rosa.

A questi pensieri il mio cuore
batte forte come un tamburo
parchè forte è la paura di perder qualcuno.
Il mio veleggiare  è con te ad ogni passo
dolce malinconia, compagna mia di viaggio.


23 febbraio, 2011

breve racconto.................una figlia



Stretta al suo soldatino lo accompagnava al punto stabilito per il raduno dei giovani richiamati per partire al fronte, in  guerra.
Egli la teneva sotto il suo braccio e camminando le poggiava le labbra sui capelli, mentre con l’altra mano accarezzava il bimbo che la donna portava nel grembo.
Si erano sposati qualche mese prima, una semplice cerimonia nella chiesa campestre accanto al campo ove lavoravano.
Dopo la cerimonia i parenti e i contadini dei dintorni avevano festeggiato , mangiando i cibi semplici ma abbondanti , e i “dolci degli sposi” preparati dalle donne.
Fino a notte tarda si era danzato nell’aia antecedente “la casa nuova” della coppia: due stanze aggiunte alla casa dei genitori.
L’organetto suonava e le coppie si muovevano al ritmo dell’ allegro suono, le donne roteavano facendo il cerchio con le gonne, i giovanotti corteggiavano le ragazze, che sorridevano arrossendo.
La loro vita di coppia aveva intrapreso la strada giusta: si amavano e da quell’amore cresceva nel grembo di Isolina , il frutto, dono della benedizione Divina.
Lavoravano nei campi, lontano dalla città.
Ogni tanto, arrivava qualche commerciante per comprare provviste e portava notizie dalla città
Si diceva che soffiava aria di guerra, si parlava di invasione di Spagnoli……………..in campagna ascoltavano ma, allontanatosi l’estraneo tutto ritornava come prima: la guerra era lontanissima dai loro pensieri.
Una mattina Anselmo disse a Isolina: “oggi, amore , prenderemo il carro e andremo in città, compreremo le stoffe e la lana per preparare il corredino al bambino e qualche vestito per te!”
La donna era felicissima.
Indossarono il vestito buono e si recarono in città.
All’arrivo la sorpresa tolse loro il fiato: c’era molto movimento ma, soprattutto tanti giovani militari che si radunavano nella piazza e rispondevano “presente” ad un graduato che faceva l’appello.
Isolina preoccupata chiese: “ Amore chiameranno anche te?”
“che dici?” rispose lui, prendendola per la vita per aiutarla a scendere dal carro , davanti alla merceria, “tranquilla , chiamano i giovani, gli uomini sposati li lasciano con le loro mogli” disse sorridente, cercando di nascondere la preoccupazione che sentiva nel cuore.
Entrarono nella bottega e scelsero le stoffe. Sul bancone vi era esposto una camiciola da neonato,color turchese, finemente ricamata.
Anselmo prese la camiciola e chiese il prezzo al commerciante.
Costava un po’, per le loro modeste tasche, Isolina non voleva comprarla perché non se lo potevano permettere.
“Non importa” disse Anselmo “ la compriamo ugualmente, vedrai avremo un buon raccolto!”
Isolina era felice, raccolse tutti i suoi pacchetti e uscirono dal negozio.
Mentre salivano sul carro si avvicinò una guardia municipale “ Anselmo c’è un avviso per voi!”
“Io non so leggere”, rispose l’uomo.
La guardia municipale aprì la missiva e con tristezza comunicò che era una chiamata per Anselmo, avrebbe dovuto presentarsi in caserma entro tre giorni, per arruolarsi e partire al fronte.
Anselmo ringraziò la guardia, prese la cartolina di richiamo e aiutò Isolina a salire sul carro.
La donna piangeva, Anselmo cercava di consolarla:
“ amore, non preoccuparti, sarà una cosa breve, poi ritornerò, molti soldati ritornano , io sarò tra quelli, quando mi vedrai arrivare, metterai la camiciola turchese con i fiocchetti e i ricamini bianchi che ho scelto per il nostro bambino e mi verrai incontro:
“figlio mio, ecco è ritornato il tuo papà!, ci stringeremo in un unico abbraccio e staremo tutti insieme per sempre!”
Temporaneamente consolata Isolina sorrise tristemente.
I tre giorni volarono velocementei.
Arrivati nella piazza, un ultimo abbraccio, un ultimo bacio e Anselmo entrò nelle file dell’esercitò e partì. Ella rientrò con il carro a casa e con fiducia cominciò a preparare il corredino.
Intanto, i mesi passavano, Isolina parlava con il suo bambino:
“Tesoro mio, tra qualche giorno nascerai, aspetteremo insieme il tuo papà, quando arriverà mammina ti metterà la camiciola turchese che lui ha scelto per te!”e sospirava............................
 

Rosetta stava in piedi vicino al letto di sua madre morente.
La sua adorata mamma, aveva settant’anni,,........era ammalata, aveva vissuto tutta la sua vita aspettando il suo marito Anselmo.
In un attimo di lucidità, con voce flebile Isolina chiamò sua figlia:
“Rosetta vai alla cassapanca e prendi la camiciola turchese,è arrivato il momento di indossarla perché sta arrivando il tuo papà, sbrigati !! sta scendendo dal calesse…………, come sei stanco!!……amore adesso arriviamo,  lo sai? abbiamo avuto una bambina ..le sto mettendo la camiciola turchese, vieni piccola Rosetta dai la manina alla mamma……ecco questo è il tuo papà!!!”
Così dicendo mia madre chiuse gli occhi: aveva raggiunto il suo Anselmo.
  Questa è la storia dell’amore che univa Anselmo e Isolina.................................: i miei genitori.
Rosetta

leggenda : i cavalieri fantasma

Tempo fa, nelle fredde sere invernali, gli anziani radunavano la famiglia , composta dai figli, nuore , nipoti e spesso anche dagli amici del "vicinato"e seduti accanto al caminetto, ove i ceppi crepitavano e le fiamme illuminavano i volti, inventavano delle storie: tutti ascoltavano immergendosi, nel silenzio,  nelle vicende della leggenda.
Una sera, il nonno, che era il patriarca -capofamiglia.raccontò la leggenda dei "cavalieri fantasma"
Al solo sentire la parola "cavalieri" i giovani sentivano  nascere in loro l'audacia, la passione per l'avventura, mentre, i bambini alla parola" fantasma" si stringevano alla mamma o poggiavano il capino nel suo grembo, nascondendo la paura..............
In questo scenario il nonno cominciò

Nei tempi lontani,  in cima alla collina più alta,fuori del nostro paese, vi era un castello immenso, che, un principe,  aveva fatto costruire..
Egli , con al seguito la sua corte, un gruppo di popolani ed un esercito, era arrivato esule da terre lontane..
Gli era stato concesso di andare in esilio da suo zio, il Re di quella regione lontana.
Il principe Kamus, questo si racconta fosse il suo nome,  aveva capeggiato una congiura contro suo zio, il Re.
Il re era un tiranno, governava come un despota: sfruttava la popolazione nelle miniere d’oro e la teneva affamata  finchè, completamente impazzito, prese a diffidare anche  dei suoi cortigiani.
Il dubbio si trasformava nella morte, durante il sonno, dei malcapitati.  
  
Il principe Kamus, aiutato da un gruppo di nobili, aveva teso un tranello al re, ma egli ,pur nella sua follia, lo aveva scoperto tramite le sue spie.
  Come cane inferocito, sfidò il nipote a duello “ o la mia vita o la tua” urlava sbavando, mentre sfoderava  la sua spada

Entrambi i duellanti, provenivano dall'insegnamento dello stesso maestro spadaccino, perciò combattevano duramente  ad armi pari.
Le spade si incrociavano o fendevamo colpi sui muri, sui gradini cacciando scintille, mentre i due abili spadaccini, si torcevano come serpenti nello sfuggire l’uno ai colpi dell’altro.
Successe che il re inciampò, fece una giravolta, per ritrovare l'equilibrio e si trovò la spada del nipote puntata sul petto:
"Sire, non posso uccidere il sangue del mio sangue! Vi lascerò la vita ma Voi lascerete che io , i nobili, i soldati e la popolazione che mi hanno affiancato, possiamo uscire vivi dal castello e andare in Terre nuove......datemi la Vostra parola di Re e avrete salva la vita!"
Il Re, pur rodendosi il fegato, assentì con la testa.
Poi, sempre sotto la minaccia della spada del nipote, chiamò i suoi soldati e ordinò
" aprite il ponte levatoio e lasciate andare il principe con la sua corte, degna di lui!"
Il principe vide dalla torre i suoi seguaci pronti per la partenza, rinchiuse il re nella torre e raggiunse il suo seguito.
Camminarono tanto senza fermarsi neanche alla notte, finchè non furono sicuri che il re non li seguisse.
Il viaggio durò mesi e mesi.
Si accampavano fuori dei villaggi per brevi periodi, accumulavano provviste e ripartivano.
Dopo aver attraversato regioni, vallate. Montagne, fiumi, cercando una terra dove potersi fermare e fondare una loro villaggio.
Arrivarono nel nostro territorio, ricco di quei doni basilari per la vita dell’uomo: le montagne e le vallate piene di vegetazione nell’entroterra .
Poi il fiume, il lago e il mare.
Il principe Kamus decise che quella sarebbe stata la loro Terra.
Si misero all’opera:  costruirono un castello sulla cima della più alta montagna, lo circondarono di alte mura con torrioni di guardia che controllavano il territorio esterno tutto in giro.
Nel castello si sistemarono il principe, la sua famiglia e i nobili che lo avevano seguito.
Dentro le mura, tutte intorno ad esso, costruirono piccole casette per gli abitanti fedeli al principe


Una mattina, dalla torre di controllo, si sentì il suono del corno che, avvertiva il pericolo:
si stava avvicinando un esercito.
Il principe raggiunse i soldati sulla torre di guardia e riconobbe lo stendardo,con le insegne dello zio, che sventolava al vento, portandosi dietro un’armata in tenuta di battaglia
Suonarono l’allarme e tutti gli abitanti fuori del castello raccolsero il  necessario e si rifugiarono dentro le mura.
Tutti contribuirono a chiudere e rinforzare il grande portale; accesero nel mezzo del piazzale, un grande fuoco e misero a bollire l’olio onde evitare che con le scale ,  i soldati del re, potessero scavalcare le mura.
L’assedio durava da tempo, la gente dentro le mura era stremata, il principe aveva nascosto tutti i valori pecuniari, oro, monete, vasellame ……e attendeva la fine della loro resistenza.
Anche fuori le mura il re e i suoi militari erano stanchi e sorpresi della resistenza degli assediati.
Il re chiamò trenta  tra i suoi più coraggiosi soldati, promise loro che gli avrebbe donato tutte le ricchezze che stavano chiuse nel castello se avessero messo in pratica un piano che lui aveva pensato.
Spiegò loro:
“vi recherete al lago di notte, perché dai torrioni non vi vedano e sotto la luce della luna, scaverete un tunnel che vi porterà dentro il castello, una volta entrati aprirete il portale e il nostro esercito potrà entrare.”
I soldati incoraggiati dalla promessa delle ricchezze, aspettarono la sera e armati di zappe e picconi strisciarono verso il lago e iniziarono a scavare.
Non era facile, ma la ricchezza da conquistare dava loro forza e tenacia.
Erano quasi vicino alle fondamenta delle mura e già vedevano oro e monete lucicare tra le loro mani.
Dentro il castello vi era Miriam, una bambina orfana e muta.
Era amata da tutti e tutti le offrivano affetto, amore, cibo, vestiti………insomma era la figlia di tutti.
Una mattina appena svegliata si avvicinò alla guardia del principe  e con i gesti chiese di poter
Parlare con Lui.
Il principe la ricevette e la bambina , che era nata muta, che non aveva mai emesso un suono gutturale ……………….PARLO’
Spiegando che aveva sognato che un gruppo di soldati del re cattivo ,stavano scavando un tunnel dal lago all’interno del castello e che erano arrivati ,già sotto le mura..
Tutti ammutolirono, conoscevano bene la fanciulla.
Il principe chiese
“sapresti indicarci il luogo dove sbucheranno?”
“certo” e condusse il principe e dei soldati nel luogo esatto.
I presenti sentirono le picconate sotto le mura.
La bambina fu sollevata in segno di gioia.
Il principe fece preparare tantissimi contenitori di olio bollente, non appena la picconata aprì il primo varco ,i militari calarono nel buco tantissimo olio bollente.
Le urla dei nemici riempirono la vallata  mentre, l’olio bollente correva nel tunnel.
Il re rimase confuso dall’accaduto, il principe, approfittando della confusione, con il suo esercito uscì dal castello e costrinse lo zio ed ul suo esercito a scappare.
La leggenda narra che, la notte in fondo al lago si vedono figure di cavalieri armati ,che vanno furtivi e silenziosi.
Gli antichi dicono che sono le anime dei cavalieri che vanno alla ricerca del tunnel che li avrebbe riempiti di tesori.

22 febbraio, 2011

poesia..........per Sara


Quando ti vidi la prima volta,
l’emozione
Salì dolcemente dal mio cuore.:
non avevo parole:
 guardavo tremante:
la mia prima nipotina,
la figlia di mio figlio.
Persino le lacrime
di gioia
si fermarono,
di fronte  a
 nuova indicibile sensazione.
Tua madre.
Emozionata
Per la mia reazione
Ripeteva
“ prendila”
poi ti mise tra le mie
braccia.
Ancora sento
il tuo dolce profumo
di neonata,
la tua guancia morbida
sulla mia
la felicità del ramo
allo spuntar del germoglio
annuncio
di  una nuova
Primavera,
del proseguo della vita.
Tesoro mio
Adesso sei
Sbocciata come un fiore
In te profuma
L’adolescenza
con i suoi colori;
di riflesso
riempi
La nostra vita
come 
l'arcobaleno
il cielo








21 febbraio, 2011

poesia : ......per Lucrezia................

Per Lucrezia
oggi è il tuo terzo complimese
lo sai
che mentre scalpitavi
nel grembo della tua mamma
...io già ti vedevo
seduta sulle mie ginocchia
ad ascoltare le favole
inventate per te
lo sai
che tutti
ti abbiamo aspettata
per stringerti
sul cuore
ove si era preparato
un posto colmo
d’amore per te
Lo sai
Che diventare nonni
È ancora più bello
Che esser mamma e papà
Anche se
Pensavamo che quello
Fosse il massimo della felicità.


18 febbraio, 2011

leggenda: "la pazza"

Tanto tempo fa, raccontano gli antichi, vicino ad un lago vi era un piccolo villaggio abitato da pescatori che, vivevano delle ricchezze offerte dalla natura che li circondava.
  La popolazione era poco numerosa e tutti sapevano vita e miracoli di ogni abitante, si nominavano più per sopranome che per nome.
Era abitudine, infatti, sopranominare una persona in base a qualche difetto fisico, al mestiere che svolgeva o altro.................
Vi era una donna che tutti conoscevano come" la pazza".
Ella viveva sopra una vecchia barca che stava ancorata presso i gradini d'approdo del piccolo e antico molo, in disuso perchè rovinato dal tempo.
La barca , era immobile sul lago, sempre nello stesso punto  ma, nessun cordame o alcuna ancora la teneva ferma..
La donna era arrivata giovanissima, aveva trascinato la sua barca fino al lago attraverso il fiume,spingendola con dei bastoni che toccavano il letto del fiume.
Arrivata al lago si era fermata presso quei gradini d'approdo e lì rimase per anni.
Le alghe e le canne crescendo l'avevano bloccata , facendone la dimora della donna.
Ella non scese mai a terra, mangiava di quel che pescava e del pane che qualche pescatore lanciava dalla sua barca.
Nessuno poteva avvicinarla, con lo sguardo vitreo, il volto inferocito faceva allontanare tutti.
I suoi lineamenti, inizialmente belli, di fattezze raffinate: aveva occhi verdi e lunghi capelli rossi che con boccoli ondulati come cirri, le scendevano sulle spalle.
Guardava ,sporgendosi, l'acqua del lago, quasi aspettasse qualcuno o cercasse qualcosa.
Alla sera, se il cielo era limpido , la luna si rispecchiava sorridente nel lago.
La donna la osservava tremare sull'acqua, confusa tra le foglie che vi si rispecchiavano.
Alla luna nel lago parlava, con voce di doloroso lamento, mentre, le sue lacrime, come tocco di campane tristi,  suonavano il loro..... plof, ..........plof.... .plof      cadendo cadenzate sul tremolio della luna nel lago.
Quando il cielo si rannuvolava e la pioggia cadeva saltellante, la donna si sedeva al centro della barca e con le braccia ed il viso sollevato verso il cielo, confondeva le sue lacrime con la pioggia; si formavano, allora,  rigagnoli che attraversavano il suo corpo ,
che, accettava insensibile  tutto, come se, la donna avesse in seno un dolore così profondo, così forte da superare anche le tormentose intemperie.
Così seduta, sotto la pioggia, dalla sua gola usciva una nenia, un triste lamento di belva ferita.
Terminata la pioggia, il sole riscaldava la terra dalla quale evaporava l'acqua piovana
 quel vapore aveva il buon profumo della madre-terra.
Per la donna era insopportabile:
sporgendosi dalla barca cercava di afferrare pugni di Terra, ma non vi riusciva allora sollevava alte urla e maledizioni verso il cielo
Alcuno si poteva avvicinare a lei, la sua reazione imprevedibile spaventava la gente che si chiedeva chi fosse e  da dove fosse arrivata.
Con il tempo i suoi capelli si erano arruffati e confusi con stecchi secchi  ed alghe morte, la sua pelle inscurita e coreacea...................faceva si che molti la temessero...............si raccontavano tanti anedotti su di lei, tra il vero e il falso, per tutti era "la pazza"sull'altra sponda del lago, dove l'acqua era più bassa, le lavandaie gaetane, avevano sistemato grossi sassi rugosi che usavano come lavatoio.
Avevano impiantato sul terreno , tra l'erbetta, dei pali con dei fili per stendere al sole il loro bucato che asciugava cogliendo dall'aria il profumo agreste di macchia mediterranea.
Mentre le mamme lavavano i bimbi giocavano nel prato: i maschietti costruivano spade con i rami secchi caduti dagli alberi , le bambine con un telo arrotolato facevano la bambola e giocavano a fare le mamme.
Terminato il bucato, le mamme, aprivano la federa con il pane e la frutta e si merendava in allegria fino alla sera, quando asciugato il bucato, si ritirava tutto e si ritornava a casa.
"La pazza" , immobile, senza proferir parola, guardava con sguardo vitreo, quello scenario che, apparentemente, in lei non provocava nessuna reazione.
Si racconta che,
un giorno, un bimbo sfuggì alla sorveglianza della madre, si spostò verso la sponda del lago, quella con l'acqua alta, si sporse per raccogliere qualcosa che vide ..... cadde dentro.
"La pazza" velocissimamente si tuffò e annaspando raggiunse il bambino, sotto lo sguardo atterrito della madre e di tutte le donne che, gridavano impotenti , torcendosi le mani, la donna riuscì a prenderlo e a metterlo sulla sua barca.
Ella stanca andò giù.
L'acqua del lago conserva il ricordo delle sue membra mentre scendeva verso il fondo, ove ancora oggi, si racconta, vi siano le orme dei suoi piedi.
Le donne raccontarono che "la pazza" prima di sparire nel lago, ridendo felice ,disse:
"ti ho salvato figlio mio! il lago non ti ha rubato dalle mie braccia!"

Nessuno ebbe il coraggio di togliere la sua barca dai vecchi gradini dell'approdo in rovina, dove aveva abitato la donna.
Lasciarono che fosse il tempo a compiere il suo lavoro

Le donne che oggi vanno al vecchio lavatoio del lago, raccontano che vedono , nell'acqua, il suo viso sorridere.
I pescatori narrano che, nelle sere di luna piena, quando la palla luminosa si rispecchi nel lago, ammirano, nel tremolio dell'acqua, una bellissima donna dai capelli rossi, con boccoli come cirri che,sorridendo felice, allatta il suo bambino.